domenica 25 dicembre 2011

Non serve un ordine costituito quando l'esigenza maschera la ragione.

In un comune italiano, la frazione è costituita da un'area del territorio comunale comprendente, di norma, un centro abitato, nonché nuclei abitati e case sparse gravitanti sul centro.
Tale gravitazione sussiste quando gli abitanti dei nuclei e delle case sparse sono attratti dal centro, cioè sogliono concorrervi per ragioni di approvvigionamento, culto, istruzione, lavoro, affari e simili.
La frazione ha una sua propria individuazione derivante dai fenomeni di aggregazione e di gravitazione sociale che in essa si realizzano.
I suoi confini sorgono spontaneamente là dove l’attrazione del centro abitato delle frazioni cessa e comincia quella dei centri abitati delle frazioni geograficamente limitrofe.
In molti casi le frazioni che compongono il territorio comunale sono indicate nello Statuto o in altri regolamenti approvati dal consiglio comunale.
Nel linguaggio comune il termine frazione viene spesso ed impropriamente usato per indicare una località abitata che non è capoluogo di comune.

giovedì 17 novembre 2011

Il Presidente Monti al Senato per la fiducia – Testo integrale del discorso

Signor Presidente, onorevoli senatrici, onorevoli senatori, è con grande emozione che mi rivolgo a voi come primo atto del percorso rivolto ad ottenere la fiducia del Parlamento al Governo ieri costituito.
L'emozione è accresciuta dal fatto che prendo oggi la parola per la prima volta in questa Aula nella quale mi avete riservato qualche giorno fa un'accoglienza che mi ha commosso. Sono onorato di entrare a far parte del Senato della Repubblica.
Desidero rivolgere un saluto deferente al Capo dello Stato, presidente Napolitano che con grande saggezza, perizia e senso dello Stato ha saputo risolvere una situazione difficile in tempi ristrettissimi nell'interesse del Paese e di tutti i cittadini.
Vorrei anche rinnovargli la mia gratitudine per la fiducia accordata alla mia persona, per il sostegno e la partecipazione che mi ha costantemente assicurato nei miei sforzi per comporre un Governo che potesse soddisfare le richieste delle forze politiche e, al contempo, dare risposte efficaci alle gravi sfide che il nostro Paese ha di fronte a sé.
Rivolgo il mio saluto ai Presidenti emeriti della Repubblica, ai senatori a vita e a tutti i senatori. Mi auguro di poter stabilire con ciascuno di voi anche un rapporto personale come vostro collega, sia pure l'ultimo arrivato.
Il Parlamento è il cuore pulsante di ogni politica di Governo, lo snodo decisivo per il rilancio e il riscatto della vita democratica. Al Parlamento vanno riconosciute e rafforzate attraverso l'azione quotidiana di ciascuno di noi dignità, credibilità e autorevolezza.
Da parte mia, da parte nostra, vi sarà sempre una chiara difesa del ruolo di entrambe le Camere quali protagoniste del pubblico dibattito.
Un ringraziamento specifico e molto sentito desidero, infine, esprimere al vostro, al nostro, Presidente. Il presidente Schifani ha voluto accogliermi, fin dal primo istante di questa mia missione - come potete immaginare, non semplicissima - svoltasi, in gran parte, a Palazzo Giustiniani, con una generosità e una cordialità che non potrò dimenticare.
Rivolgo, infine, un pensiero rispettoso e cordiale al presidente, onorevole dottor Silvio Berlusconi mio predecessore, del quale mi fa piacere riconoscere l'impegno nel facilitare in questi giorni la mia successione nell'incarico.
Il Governo riconosce di essere nato per affrontare in spirito costruttivo e unitario una situazione di seria emergenza. Vorrei usare questa espressione: Governo di impegno nazionale. Governo di impegno nazionale significa assumere su di sé il compito di rinsaldare le relazioni civili e istituzionali, fondandole sul senso dello Stato. È il senso dello Stato, è la forza delle istituzioni, che evitano la degenerazione del senso di famiglia in familismo, dell'appartenenza alla comunità di origine in localismo, del senso del partito in settarismo. Ed io ho inteso fin dal primo momento il mio servizio allo Stato non certo con la supponenza di chi, considerato tecnico, venga per dimostrare un'asserita superiorità della tecnica rispetto alla politica. Al contrario, spero che il mio Governo ed io potremo, nel periodo che ci è messo a disposizione, contribuire in modo rispettoso e con umiltà a riconciliare maggiormente - permettetemi di usare questa espressione - i cittadini e le istituzioni, i cittadini alla politica.
Io vorrei, noi vorremmo, aiutarvi tutti a superare una fase di dibattito, che fa parte naturalmente della vita democratica, molto, molto, accesa, e consentirci di prendere insieme, senza alcuna confusione delle responsabilità, provvedimenti all'altezza della situazione difficile che il Paese attraversa, ma con la fiducia che la politica che voi rappresentate sia sempre più riconosciuta, e di nuovo riconosciuta, come il motore del progresso del Paese.
Le difficoltà del momento attuale. L'Europa sta vivendo i giorni più difficili dagli anni del secondo dopoguerra. Il progetto che dobbiamo alla lungimiranza di grandi uomini politici, quali furono Konrad Adenauer, Jean Monnet, Robert Schuman e - sottolineo in modo particolare - Alcide De Gasperi e che per sessant'anni abbiamo perseguito, passo dopo passo, dal Trattato di Roma - non a caso di Roma - all'atto unico, ai Trattati di Maastricht e di Lisbona, è sottoposto alla prova più grave dalla sua fondazione.
Un fallimento non sarebbe solo deleterio per noi europei. Farebbe venire meno la prospettiva di un mondo più equilibrato in cui l'Europa possa meglio trasmettere i suoi valori ed esercitare il ruolo che ad essa compete, in un mondo sempre più bisognoso di una governance multilaterale efficace.
Non illudiamoci, onorevoli senatori, che il progetto europeo possa sopravvivere se dovesse fallire l'Unione Monetaria. La fine dell'euro disgregherebbe il mercato unico, le sue regole, le sue istituzioni. Ci riporterebbe là dove l'Europa era negli anni cinquanta.
La gestione della crisi ha risentito di un difetto di governance e, in prospettiva, dovrà essere superata con azioni a livello europeo. Ma solo se riusciremo ad evitare che qualcuno, con maggiore o minore fondamento, ci consideri l'anello debole dell'Europa, potremo ricominciare a contribuire a pieno titolo all'elaborazione di queste riforme europee. Altrimenti ci ritroveremo soci di un progetto che non avremo contribuito ad elaborare, ideato da Paesi che, pur avendo a cuore il futuro dell'Europa, hanno a cuore anche i lori interessi nazionali, tra i quali non c'è necessariamente una Italia forte.
Il futuro dell'euro dipende anche da ciò che farà l'Italia nelle prossime settimane, anche e non solo, ma anche. Gli investitori internazionali detengono quasi metà del nostro debito pubblico. Dobbiamo convincerli che abbiamo imboccato la strada di una riduzione graduale ma durevole del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Quel rapporto è oggi al medesimo livello al quale era vent'anni fa ed è il terzo più elevato tra i Paesi dell'OCSE. Per raggiungere questo obiettivo intendiamo far leva su tre pilastri: rigore di bilancio, crescita ed equità.
Nel ventennio trascorso l'Italia ha fatto molto per riportare in equilibrio i conti pubblici, sebbene alzando l'imposizione fiscale su lavoratori dipendenti e imprese, più che riducendo in modo permanente la spesa pubblica corrente. Tuttavia, quegli sforzi sono stati frustrati dalla mancanza di crescita. L'assenza di crescita ha annullato i sacrifici fatti. Dobbiamo porci obiettivi ambiziosi sul pareggio di bilancio, sulla discesa del rapporto tra debito e PIL. Ma non saremo credibili, neppure nel perseguimento e nel mantenimento di questi obiettivi, se non ricominceremo a crescere.
Ciò che occorre fare per ricominciare a crescere è noto da tempo. Gli studi dei migliori centri di ricerca italiani avevano individuato le misure necessarie molto prima che esse venissero recepite nei documenti che in questi mesi abbiamo ricevuto dalle istituzioni europee. Non c'è nessuna originalità europea nell'aver individuato ciò che l'Italia deve fare per crescere di più. È un problema del sistema italiano riuscire a decidere e poi ad attuare quanto noi italiani sapevamo bene fosse necessario per la nostra crescita.
Non vediamo i vincoli europei come imposizioni. Anzitutto permettetemi di dire, e me lo sentirete affermare spesso, che non c'è un loro e un noi. L'Europa siamo noi.
Quelli che poi ci vengono in un turbinio di messaggi, di lettere e di deliberazioni dalle istituzioni europee sono per lo più provvedimenti rivolti a rendere meno ingessata l'economia, a facilitare la nascita di nuove imprese e poi indurne la crescita, migliorare l'efficienza dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, favorire l'ingresso nel mondo del lavoro dei giovani e delle donne, le due grandi risorse sprecate del nostro Paese.
L'obiezione che spesso si oppone a queste misure è che esse servono, certo, ma nel breve periodo fanno poco per la crescita. È un'obiezione dietro la quale spesso si maschera - riconosciamolo - chi queste misure non vuole, non tanto perché non hanno effetti sulla crescita nel breve periodo (che è vero che non hanno), ma perché si teme che queste misure ledano gli interessi di qualcuno. Ma, evidentemente, più tardi si comincia, più tardi arriveranno i benefìci delle riforme. Ma, soprattutto, le scelte degli investitori che acquistano i nostri titoli pubblici sono guidate sì da convenienze finanziarie immediate, ma - mettiamocelo in testa - sono guidate anche dalle loro aspettative su come sarà l'Italia fra dieci o vent'anni, quando scadranno i titoli che acquistano oggi.
Quindi, non c'è iato la tra le cose che dobbiamo o fare oggi o avviare oggi, anche se avranno effetti lontani, perché anche gli investitori, che ci premiano o ci puniscono, agiscono oggi, ma guardano anche agli effetti lontani.
Riforme che hanno effetti anche graduali sulla crescita, influendo sulle aspettative degli investitori, possono riflettersi in una riduzione immediata dei tassi di interesse, con conseguenze positive sulla crescita stessa. I sacrifici necessari per ridurre il debito e per far ripartire la crescita dovranno essere equi. Maggiore sarà l'equità, più accettabili saranno quei provvedimenti e più ampia - mi auguro - sarà la maggioranza che in Parlamento riterrà di poterli sostenere. Equità significa chiedersi quale sia l'effetto delle riforme non solo sulle componenti relativamente forti della società, quelle che hanno la forza di associarsi, ma anche sui giovani e sulle donne. Dobbiamo renderci conto che, se falliremo e se non troveremo la necessaria unità di intenti, la spontanea evoluzione della crisi finanziaria ci sottoporrà tutti, ma soprattutto le fasce più deboli della popolazione, a condizioni ben più dure.
La crisi che stiamo vivendo è internazionale; questo è ovvio, ma conviene ripeterlo ogni volta, anche ad evitare demonizzazioni. È internazionale, lo sto dicendo a tutti. Ma l'Italia ne ha risentito in maniera particolare. Secondo la Commissione europea, al termine del prossimo anno il prodotto interno lordo dell'Italia sarebbe ancora quattro punti e mezzo al di sotto del livello raggiunto prima della crisi. Per la stessa data, l'area dell'euro nel suo complesso avrebbe invece recuperato la perdita di prodotto dovuta alla crisi. Francia e Germania raggiungerebbero il traguardo di riportarsi al livello precrisi nell'anno in corso. La relativa debolezza della nostra economia precede l'avvio della crisi.
Tra il 2001 e il 2007 il prodotto italiano è cresciuto di 6,7 punti percentuali, contro i 12 della media dell'area dell'euro, i 10,8 della Francia e gli 8,3 della Germania. I risultati sono deludenti al Nord come al Sud. E non vi propongo un paragone con la Cina o con altri Paesi emergenti, ma con i nostri colleghi ed amici stretti della zona euro. La crisi ha colpito più duramente i giovani. Ad esempio, nei 15 Paesi che componevano l'Unione europea fino al 2004, tra il 2007 e il 2010 il tasso di disoccupazione nella classe di età 15-24 anni è aumentato di cinque punti percentuali, in Italia di 7,6 punti percentuali.
Il nostro Paese rimane caratterizzato da profonde disparità territoriali. Il lungo periodo di bassa crescita e la crisi le hanno accentuate. Esiste una questione meridionale: infrastrutture, disoccupazione, innovazione, rispetto della legalità.
I problemi nel Mezzogiorno vanno affrontati non nella logica del chiedere di più, ma di una razionale modulazione delle risorse.
Esiste anche una questione settentrionale: costo della vita, delocalizzazione, nuove povertà, bassa natalità.
Il riequilibrio di bilancio, le riforme strutturali e la coesione territoriale richiedono piena e leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali.
Occorre riconoscere il valore costituzionale delle autonomie speciali, nel duplice binario della responsabilità e della reciprocità.
In quest'ottica, per rispondere alla richiesta formulata dalle istituzioni territoriali che, devo dire, ho ascoltato con molta attenzione. Se dovete fare una scelta - mi permetto di rivolgermi a tutti - ascoltate, non applaudite!
Non ripeterò l'importanza del valore costituzionale delle autonomie speciali, perché altrimenti arrivano di nuovo applausi; l'ho già detto e lo avete ascoltato.
In quest'ottica - come stavo dicendo - perrispondere alla richiesta formulata dalle istituzioni territoriali nel corso delle consultazioni, ho deciso di assumere direttamente in questa prima fase le competenze relative agli affari regionali. Spero in questo modo di manifestare una consapevolezza condivisa circa il fatto che il lavoro comune con le autonomie territoriali debba proseguire e rafforzarsi, nonostante le difficoltà dell'agenda economica. In tale prospettiva si dovrà operare senza indugio per un uso efficace dei fondi strutturali dell'Unione europea.
Sono consapevole che sarebbe un'ambizione eccessiva da parte mia e da parte nostra pretendere di risolvere in un arco di tempo limitato, qual è quello che ci separa dalla fine di questa legislatura, problemi che hanno origini profonde e che sono radicati in consuetudini e comportamenti consolidati. Ciò che si prefiggiamo di fare è impostare il lavoro, mettere a punto gli strumenti che permettano ai Governi che ci succederanno di proseguire un processo di cambiamento duraturo.
Per questo il programma che vi sottopongo oggi si compone di due parti, che hanno obiettivi ed orizzonti temporali diversi. Da un lato, vi è una serie di provvedimenti per affrontare l'emergenza, assicurare la sostenibilità della finanza pubblica, restituire fiducia nelle capacità del nostro Paese di reagire e sostenere una crescita duratura ed equilibrata. Dall'altro lato, si tratta di delineare con iniziative concrete un progetto per modernizzare le strutture economiche e sociali, in modo da ampliare le opportunità per le imprese, i giovani, le donne e tutti i cittadini, in un quadro di ritrovata coesione sociale e territoriale.
In considerazione dell'urgenza con la quale abbiamo dovuto operare per la formazione di questo Governo - ed in questo senso voglio ringraziare le diverse forze politiche che, nei miei confronti, figura estranea al vostro mondo, si sono gentilmente e con sollecitudine apprestate all'ascolto e all'offerta di contributi dei quali ho cercato di tenere conto - quello che intendo fare oggi è semplicemente presentarvi gli aspetti essenziali dell'azione che intendiamo svolgere. Se otterremo la fiducia del Parlamento, ciascun Ministro esporrà alle Commissioni parlamentari competenti le politiche attraverso le quali, nei singoli settori, queste azioni verranno avviate.
È in discussione in Parlamento una proposta di legge costituzionale per introdurre un vincolo di bilancio in pareggio per le amministrazioni pubbliche, in coerenza con gli impegni presi nell'ambito dell'Eurogruppo.
L'adozione di una regola di questo tipo può contribuire a mantenere nel tempo il pareggio di bilancio programmato per il 2013, evitando che i risultati conseguiti con intense azioni di risanamento vengano erosi negli anni successivi, come è accaduto in passato. Affinché il vincolo sia efficace, dovranno essere chiarite le responsabilità dei singoli livelli di Governo.
A questo proposito ed anche in considerazione della complessità della regola, ad esempio l'aggiustamento per il ciclo, sarà opportuno studiare l'esperienza di alcuni Paesi europei che hanno affidato ad autorità indipendenti la valutazione del rispetto sostanziale della regola, dato che in questa materia la credibilità nei confronti di noi stessi e del mondo è un requisito essenziale. Sarà anche necessario attuare rapidamente l'armonizzazione dei bilanci delle amministrazioni pubbliche. Opportunamente la proposta di legge in discussione in Parlamento già prevede l'assegnazione allo Stato della potestà legislativa esclusiva in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici. Nell'immediato daremo piena attuazione alle manovre varate nel corso dell'estate, completandole attraverso interventi in linea con la lettera di intenti inviata alle autorità europee.
Nel corso delle prossime settimane valuteremo la necessità di ulteriori correttivi. Una parte significativa della correzione dei saldi programmata durante l'estate è attesa dall'attuazione della riforma dei sistemi fiscale ed assistenziale. Dovremmo pervenire al più presto ad una definizione di tale riforma e ad una valutazione prudenziale dei suoi effetti. Dovranno inoltre essere identificati gli interventi, volti a colmare l'eventuale divario rispetto a quelli indicati nella manovra di bilancio.
Di fronte ai sacrifici che sono stati e che dovranno essere richiesti ai cittadini sono ineludibili interventi volti a contenere i costi di funzionamento degli organi elettivi. I soggetti che ricoprono cariche elettive, i dirigenti designati politicamente nelle società di diritto privato, finanziate con risorse pubbliche, più in generale quanti rappresentano le istituzioni ad ogni livello politico ed amministrativo, dovranno agire con sobrietà ed attenzione al contenimento dei costi, dando un segnale concreto ed immediato. Si dovranno rafforzare gli interventi effettuati con le ultime manovre di finanza pubblica, con l'obiettivo di allinearci rapidamente alle best practices europee.
Per quanto di mia diretta competenza, avvierò immediatamente una spending review del Fondo unico della Presidenza del Consiglio. Ritengo inoltre necessario ridurre le sovrapposizioni tra i livelli decisionali e favorire la gestione integrata dei servizi per gli Enti locali di minori dimensioni. Il riordino delle competenze delle Province può essere disposto con legge ordinaria. La prevista specifica modifica della Costituzione potrà completare il processo, consentendone la completa eliminazione, così come prevedono gli impegni presi con l'Europa.
Per garantire la natura strutturale della riduzione delle spese dei Ministeri, decisa con la legge di stabilità, andrà definito rapidamente il programma per la riorganizzazione della spesa, previsto dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in particolare per quanto riguarda l'integrazione operativa delle agenzie fiscali, la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell'amministrazione dello Stato, il coordinamento delle attività delle forze dell'ordine, l'accorpamento degli enti della previdenza pubblica, la razionalizzazione dell'organizzazione giudiziaria.
Gli interventi saranno coordinati con la spending review in corso, che intendo rafforzare e rendere particolarmente incisiva con la precisa individuazione di tempi e responsabilità. Negli scorsi anni la normativa previdenziale è stata oggetto di ripetuti interventi, che hanno reso a regime il sistema pensionistico italiano tra i più sostenibili in Europa e tra i più capaci di assorbire eventuali shock negativi. Già adesso l'età di pensionamento, nel caso di vecchiaia, tenendo conto delle cosiddette finestre, è superiore a quella dei lavoratori tedeschi e francesi.
Il nostro sistema pensionistico rimane però caratterizzato da ampie disparità di trattamento tra diverse generazioni e categorie di lavoratori, nonché da aree ingiustificate di privilegio.
Il rispetto delle regole e delle istituzioni e la lotta all'illegalità riceveranno attenzione prioritaria da questo Governo. Per riacquistare fiducia nel futuro dobbiamo avere fiducia nelle istituzioni che caratterizzano uno Stato di diritto, quindi si procederà alla lotta all'evasione fiscale e all'illegalità, non solo per aumentare il gettito (il che non guasta), ma anche per abbattere le aliquote: questo può essere fatto con efficacia prestando particolare attenzione al monitoraggio della ricchezza accumulata (ho detto monitoraggio della ricchezza accumulata) e non solo ai redditi prodotti.
L'evasione fiscale continua a essere un fenomeno rilevante: il valore aggiunto sommerso è quantificato nelle statistiche ufficiali in quasi un quinto del prodotto. Interventi incisivi in questo campo possono ridurre il peso dell'aggiustamento sui contribuenti che rispettano le norme. Occorre ulteriormente abbassare la soglia per l'uso del contante, favorire un maggior uso della moneta elettronica, accelerare la condivisione delle informazioni tra le diverse amministrazioni, potenziare e rendere operativi gli strumenti di misurazione induttiva del reddito e migliorare la qualità degli accertamenti.
Il decreto legislativo n. 23 del 14 marzo 2011 prevede per il 2014 l'entrata in vigore dell'imposta municipale che assorbirà l'attuale ICI, escludendo tuttavia la prima casa e l'IRPEF sui redditi fondiari da immobili non locati, comprese le relative addizionali. In questa cornice intendiamo riesaminare il peso del prelievo sulla ricchezza immobiliare: tra i principali Paesi europei, l'Italia è caratterizzata da un'imposizione sulla proprietà immobiliare che risulta al confronto particolarmente bassa. L'esenzione dall'ICI delle abitazioni principali costituisce, sempre nel confronto internazionale, una peculiarità - se non vogliamo chiamarla anomalia - del nostro ordinamento tributario.
Il primo elenco di cespiti immobiliari da avviare a dismissione sarà definito nei tempi previsti dalla legge di stabilità, cioè entro il 30 aprile 2012. La lettera d'intenti inviata alla Commissione europea prevede proventi di almeno 5 miliardi all'anno nel prossimo triennio. A tale scopo verrà definito un calendario puntuale per i successivi passi del piano di dismissioni e di valorizzazione del patrimonio pubblico. Tuttavia, è necessario volgere tutte le politiche pubbliche, a livello macroeconomico e microeconomico, a sostegno della crescita, sia pure nei limiti determinati dal vincolo di bilancio.
La pressione fiscale in Italia è elevata nel confronto storico e in quello internazionale (nel testo scritto che avrete a disposizione si danno ulteriori elementi). Nel tempo e via via che si manifesteranno gli effetti della spending review sarà possibile programmare una graduale riduzione della pressione fiscale; tuttavia anche prima, a parità di gettito, la composizione del prelievo fiscale può essere modificata in modo da renderla più favorevole alla crescita. Coerentemente con il disegno della delega fiscale e della clausola di salvaguardia che la accompagna, una riduzione del peso delle imposte e dei contributi che gravano sul lavoro e sull'attività produttiva, finanziata da un aumento del prelievo sui consumi e sulla proprietà, sosterrebbe la crescita senza incidere sul bilancio pubblico.
Dal lato della spesa, un impulso all'attività economica potrà derivare da un aumento del coinvolgimento dei capitali privati nella realizzazione di infrastrutture. Gli incentivi fiscali stabiliti con legge di stabilità sono un primo passo, ma è anche necessario intervenire sulla regolamentazione del project financing, in modo da ridurre il rischio associato alle procedure amministrative. Occorre inoltre operare per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea con l'agenda digitale. Ho quasi concluso.
Con il consenso delle parti sociali dovranno essere riformate le istituzioni del mercato del lavoro, per allontanarci da un mercato duale dove alcuni sono fin troppo tutelati mentre altri sono totalmente privi di tutele e assicurazioni in caso di disoccupazione.
Le riforme in questo campo dovranno avere il duplice scopo di rendere più equo il nostro sistema di tutela del lavoro e di sicurezza sociale e anche di facilitare la crescita della produttività, tenendo conto dell'eterogeneità che contraddistingue in particolare l'economia italiana. In ogni caso, il nuovo ordinamento che andrà disegnato verrà applicato ai nuovi rapporti di lavoro per offrire loro una disciplina veramente universale, mentre non verranno modificati i rapporti di lavori regolari e stabili in essere.
Intendiamo perseguire lo spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro, come ci viene chiesto dalle autorità europee e come già le parti sociali hanno iniziato a fare, che va accompagnato da una disciplina coerente del sostegno alle persone senza impiego volta a facilitare la mobilità e il reinserimento nel mercato del lavoro, superando l'attuale segmentazione. Più mobilità tra impresa e settori è condizione essenziale per assecondare la trasformazione dell'economia italiana e sospingerne la crescita.
È necessario colmare il fossato che si è creato tra le garanzie e i vantaggi offerti dal ricorso ai contratti a termine e ai contratti a tempo indeterminato, superando i rischi e le incertezze che scoraggiano le imprese a ricorrere a questi ultimi. Tenendo conto dei vincoli di bilancio occorre avviare una riforma sistematica degli ammortizzatori sociali, volta a garantire a ogni lavoratore che non sarà privo di copertura rispetto ai rischi di perdita temporanea del posto di lavoro. Abbiamo da affrontare una crisi, abbiamo da affrontare delle trasformazioni strutturali, ma è nostro dovere cercare di evitare le angosce che accompagnano questi processi.
È necessario, infine, mantenere una pressione costante nell'azione di contrasto e di prevenzione del lavoro sommerso. Uno dei fattori che distinguono l'Italia nel contesto europeo è la maggiore difficoltà di inserimento o di permanenza in condizioni di occupazione delle donne. Assicurare la piena inclusione delle donne in ogni ambito della vita lavorativa ma anche sociale e civile del Paese è una questione indifferibile.
È necessario affrontare le questioni che riguardano la conciliazione della vita familiare con il lavoro, la promozione della natalità e la condivisione delle responsabilità legate alla maternità da parte di entrambi i genitori, nonché studiare l'opportunità di una tassazione preferenziale per le donne.
C'è poi un problema legato all'invecchiamento della popolazione che si traduce in oneri crescenti per le famiglie; andrà quindi prestata attenzioni ai servizi di cura agli anziani, oggi una preoccupazione sempre più urgente nelle famiglie in un momento in cui affrontano difficoltà crescenti.
Infine un'attenzione particolare andrà assicurata alle prospettive per i giovani; dico "infine" nel senso di finalità di tutta la nostra azione. Questa sarà una delle priorità di azione di questo Governo, nella convinzione che ciò che restringe le opportunità per i giovani si traduce poi in minori opportunità di crescita e di mobilità sociale per l'intero Paese. Dobbiamo porci l'obiettivo di eliminare tutti quei vincoli che oggi impediscono ai giovani di strutturare le proprie potenzialità in base al merito individuale indipendentemente dalla situazione sociale di partenza. Per questo ritengo importante inserire nell'azione di Governo misure che valorizzino le capacità individuali e eliminino ogni forma di cooptazione. L'Italia ha bisogno di investire sui suoi talenti; deve essere lei orgogliosa dei suoi talenti e non trasformarsi in un'entità di cui i suoi talenti non sempre sono orgogliosi. Per questo la mobilità è la nostra migliore alleata, mobilità sociale ma anche geografica, non solo all'interno del nostro Paese ma anche e soprattutto nel più ampio orizzonte del mercato del lavoro europeo e globale.
L'ultimo punto che desidero brevemente presentarvi - ed è una caratteristica spero distintiva del nostro Esecutivo, se consentirete al nostro, o vostro, Governo di nascere, è quella delle politiche micro-economiche per la crescita.
Un ritorno credibile a più alti tassi di crescita deve basarsi su misure volte a innalzare il capitale umano e fisico e la produttività dei fattori. La valorizzazione del capitale umano deve essere un aspetto centrale: sarà necessario mirare all'accrescimento dei livelli d'istruzione della forza lavoro, che sono ancora oggi nettamente inferiori alla media europea, anche tra i più giovani. Vi contribuiranno interventi mirati sulle scuole e sulle aree in ritardo, identificando i fabbisogni, anche mediante i test elaborati dall'INVALSI, e la revisione del sistema di selezione, allocazione e valorizzazione degli insegnanti. Nell'università, varati i decreti attuativi della legge di riforma approvata lo scorso anno, è ora necessario dare rapida e rigorosa attuazione ai meccanismi d'incentivazione basati sulla valutazione, previsti dalla riforma. Gli investimenti in infrastrutture, di cui tante volte e giustamente abbiamo parlato e si è parlato negli corso degli anni, sono fattori rilevanti per accrescere la produttività totale dell'economia.
A questo scopo, abbiamo per la prima volta valorizzato in modo organico nella struttura del Governo la politica, anzi, le politiche di sviluppo dell'economia reale, con l'attribuzione ad un unico Ministro delle competenze sullo sviluppo economico e sulle infrastrutture ed i trasporti. Questo vuole indicare quasi visivamente e in termini di organigramma del Governo che pari attenzione e centralità vanno attribuite a ciò che mantiene il Paese stabile, la disciplina finanziaria, e a ciò che ad esso consente di crescere e, quindi, di restare stabile a lungo termine, cioè appunto la crescita.
Occorre anche rimuovere gli ostacoli strutturali alla crescita, affrontando resistenze e chiusure corporative. In tal senso, è necessario un disegno organico, volto a ridurre gli oneri ed il rischio associato alle procedure amministrative, nonché a stimolare la concorrenza, con particolare riferimento al riordino della disciplina delle professioni regolamentate, anche dando attuazione a quanto previsto nella legge di stabilità in materia di tariffe minime.
Intendiamo anche rafforzare gli strumenti d'intervento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato in caso di disposizioni legislative o amministrative, statali o locali, che abbiano effetti distorsivi della concorrenza, accrescere la qualità dei servizi pubblici, nel quadro di un'azione volta a ridurre il deficit di concorrenza a livello locale, ridurre i tempi della giustizia civile, in modo tale da colmare il divario con gli altri Paesi, anche attraverso la riduzione delle sedi giudiziarie, e rimuovere gli ostacoli alla crescita delle dimensioni delle imprese, anche attraverso la delega fiscale.
Un innalzamento significativo del tasso di crescita è condizione essenziale non solo del riequilibrio finanziario, ma anche del progresso civile e sociale. In tal senso, una strategia di rilancio della crescita non può prescindere da un'azione determinata ed efficace di contrasto alla criminalità organizzata e a tutte le mafie, che vada a colpire gli interessi economici delle organizzazioni e le loro infiltrazioni nell'economia legale.
Il risanamento della finanza pubblica ed il rilancio della crescita contribuiranno a rafforzare la posizione dell'Italia in Europa e, più in generale, la nostra politica estera: vocazione europeistica, solidarietà atlantica, rapporti con i nostri partners strategici, apertura dei mercati, sicurezza nazionale ed internazionale rimarranno i cardini di tale politica. Voglio qui ricordare i nostri militari impegnati in missioni all'estero, le Forze Armate ed i rappresentanti delle forze dell'ordine, che sono in prima linea nella difesa dei nostri valori e della democrazia.
L'Italia ha bisogno di una politica estera coerente con i nostri impegni e di una ripresa d'iniziativa nelle aree dove vi siano significativi interessi nazionali.
Dimenticavo di dirvi, a proposito di militari impegnati in missioni all'estero, che se non vedete ancora in questi banchi il nostro collega Ministro della difesa, è perché l'altra sera l'ho svegliato alle tre di notte in Afghanistan, pensando che fosse a Bruxelles dove si trova la sua sede ordinaria di lavoro. Ho notato prima una certa esitazione e poi grande entusiasmo nell'accettazione della proposta. Ecco un esempio di militare impegnato all'estero che sta facendo i salti mortali per arrivare a giurare nelle mani del Capo dello Stato nelle prossime ore. Scusate quindi la sua assenza.
La gravità della situazione attuale richiede una risposta pronta e decisa nella creazione di condizioni favorevoli alla crescita nel perseguimento del pareggio di bilancio, con interventi strutturali e con un'equa distribuzione dei sacrifici.
Il tentativo che ci proponiamo di compiere, onorevoli senatori, e che vi chiedo di sostenere è difficilissimo; altrimenti ho il sospetto che non mi troverei qui oggi. I margini di successo sono tanto più ridotti, come ha rilevato il Presidente della Repubblica, dopo anni di contrapposizione e di scontri nella politica nazionale. Se sapremo cogliere insieme questa opportunità per avviare un confronto costruttivo su scelte e obiettivi di fondo avremo occasione di riscattare il Paese e potremo ristabilire la fiducia nelle sue istituzioni.
Vi ringrazio.

mercoledì 16 novembre 2011

IL NUOVO GOVERNO Manager, cooperanti e professori i ministri del governo Monti.

Ecco la squadra nominata dal presidente del Consiglio, Mario Monti. Si tratta di 17 tecnici. Tra i ministri tre donne.


Ministri con portafoglio

Mario Monti delega ad interim all'Economia e alle Finanze

Corrado Passera, ministro dello Sviluppo e delle Infrastrutture

Nato a Como il 30 dicembre 1954. È stato il più politico dei banchieri. Laurea alla Bocconi e master in Business Administration alla Wharton School di Philadelphia (USA), Corrado Passera nel 1980 entra in McKinsey dove rimane per cinque anni. Successivamente intraprende una lunga collaborazione con il gruppo di Carlo De Benedetti che lo vede inizialmente impegnato in Cir, la holding del Gruppo, dove ricopre la carica di Direttore Generale fino al 1990. Nel 1991 diventa direttore generale di Arnoldo Mondadori Editore e, a seguire, del Gruppo Editoriale L'Espresso. Nel 2006 Corrado Passera è tra gli artefici del processo che porterà all'integrazione tra Banca Intesa e Sanpaolo IMI dando vita a Intesa Sanpaolo.

Giampaolo Di Paola, ministro della Difesa

Nato a Torre Annunziata, in provincia di Napoli, il 15 agosto 1944. Entrato all'Accademia navale nel 1963 e nominato guardiamarina nel 1966, è stato promosso successivamente ai seguenti gradi: sottotenente di vascello l'11 novembre 1967, tenente di vascello il 31 luglio 1971, capitano di corvetta il 1 gennaio 1976, capitano di fregata il 1 gennaio 1980, capitano di vascello il 31 dicembre 1986, contrammiraglio il 31 dicembre 1993, ammiraglio di divisione il 31 dicembre 1997 ed è stato promosso ammiraglio di squadra il 1° gennaio 1999. Dopo la specializzazione presso la Scuola sommergibili, dal 1968 al 1974 ha prestato servizio con vari incarichi a bordo dei sommergibili convenzionali "Gazzana" e "Piomata". Comandante del sommergibile "Cappellini" nel 1974-75 e del sommergibile "Sauro" nel 1980-81 è stato anche comandante della fregata "Grecale" nel 1984-85; dopo la promozione a capitano di vascello ha prestato servizio come comandante a bordo dell'incrociatore portaeromobili "G. Garibaldi" nel 1989-90.

Anna Maria Cancellieri, ministro dell'Interno

Romana, 67 anni, Cancellieri ha conquistato sul campo il soprannome di 'lady di ferro' come commissario straordinario al Comune di Parma, dove è stata chiamata a sostituirsi all'amministrazione guidata dal sindaco Vignali. Un percorso simile a quello che ha compiuto per oltre un anno a Bologna, dopo lo scandalo del 'Cinziagate' che coinvolse il sindaco Delbono. "Abbiate fiducia e fatevi sentire", fu il suo primo appello ai cittadini delle Due Torri. In pensione dal 2009, il neoministro dell'Interno ha iniziato a lavorare a soli 19 anni presso la Presidenza del Consiglio. Laureata in Scienze Politiche all'università 'Sapienza' di Roma, ha iniziato la sua carriera direttiva a Milano e nel 1993 è stata nominata prefetto, carica che ha ricoperto a Vicenza, Bergamo, Brescia, Catania e Genova.

Paola Severino, ministro della Giustizia

Nata a Napoli nel 1948. È uno dei più noti avvocati italiani ed attuale vice rettore dell'Università Luiss 'Guido Carli' di Roma. Laureata in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, Paola Severino dal 30 luglio 1997 al 30 luglio 2001 ha svolto l'incarico di di Vicepresidente del Consiglio della Magistratura Militare. Dal 1 maggio 2003 al 29 maggio 2006 è stata Preside della Facoltà di Giurisprudenza della Luiss "Guido Carli" di Roma, dal 29 maggio 2006 è Vice Rettore presso lo stesso ateneo. Penalista, è iscritta all'albo degli Avvocati di Roma dal 1975 ed è consulente di società, banche ed associazioni di categoria. Paola Severino è stata relatrice in diversi convegni ed incontri scientifici sui temi del Diritto penale e del Diritto penale commerciale, oltre che componente di varie Commissioni ministeriali per la riforma della legislazione penale e processuale penale.

Giulio Terzi, ministro degli Esteri

Nato a Bergamo il 9 giugno 1946. Attuale ambasciatore d'Italia a Washington dove si era insediato nel 2009. Bergamasco, classe 1946, Terzi si è laureato in giurisprudenza a Milano con specializzazione in diritto internazionale. Entrato in carriera diplomatica nel 1973, tra gli incarichi ricoperti all'estero di particolare rilievo, Terzi è stato ambasciatore d'Italia in Israele tra il 2002 e il 2004 ed è noto, fra l'altro, per essere stato l'uomo che gettò le basi per la storica visita di fini nello Stato ebraico nel novembre 2003. L'ultimo incarico dell'ambasciatore Terzi prima dell'ambasciata a Washington era stato quello di rappresentante permanente d'Italia all'Onu a New York, dove guidò la delegazione italiana al Consiglio di sicurezza per poco più di un anno (20 agosto 2008-30 settembre 2009), nell'ultimo periodo del biennio italiano come membro non permanente (2007-2008). Prima ancora, il diplomatico aveva ricoperto il delicato incarico di direttore politico alla Farnesina, occupandosi soprattutto di sicurezza internazionale e di organismi multilaterali (Onu, Consiglio europeo, Nato, G8 e Osce).

Elsa Foriero, ministro del Welfare con delega alle Pari Opportunità

È considerata soprattutto una grande esperta di lavoro. Nata a San Carlo Canavese, Torino, nel 1948, è professore Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia, Università di Torino e vicepresidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa SanPaolo. È Coordinatore Scientifico del CeRP (Center for Research on Pensions and Welfare Policies, Collegio Carlo Alberto), vice presidente della Compagnia di San Paolo, membro del Collegio Docenti del Dottorato in Scienze Economiche dell'Università di Torino e del dottorato in Social Protection Policy presso la Maastricht Graduate School of Governance (Università di Maastricht), in cui è anche docente. È anche componente del Nucleo di valutazione della Spesa Previdenziale, costituito presso il Ministero del Welfare, membro del comitato editoriale della Rivista Italiana degli Economisti, editorialista de Il Sole 24 Ore e membro del CdA di Buzzi Unicem.

Francesco Profumo, ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca

Francesco Profumo, 58 anni, nato a Savona, lascerà la presidenza del Consiglio nazionale delle Ricerche assunta il 13 agosto scorso. Già rettore del Politecnico di Torino dal 2005 al 2011, nella scorsa primavera è stato candidato alle primarie del Pd come candidato a sindaco di Torino. Nato a Savona nel 1953. Nel 1977 si è laureato in ingegneria elettrotecnica presso il Politecnico di Torino. Dal 1978 al 1984, ha lavorato come ingegnere progettista per il Centro Ricerca e Sviluppo della Società Ansaldo a Genova. Nel 1984 si è trasferito al Dipartimento di Ingegneria Elettrotecnica del Politecnico di Torino, dove è stato Professore Associato fino al 1995. Nel settembre 2003, Profumo diventa Preside della facoltà di Ingegneria e nell'ottobre del 2005 ricopre l'incarico di Rettore del Politecnico di Torino.

Lorenzo Ornaghi, ministro per i Beni culturali

Dal 2002 guida la Cattolica di Milano ed è ora al suo terzo mandato. Lombardo, classe 1948 a Villasanta, provincia di Monza-Brianza, si è laureato in Scienze politiche nel '72 all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dove ha lavorato fino all'87 come ricercatore. Nello stesso periodo è divenuto poi professore associato presso l'Università di Teramo. Nel 1990, però, è tornato alla Cattolica di Milano ricoprendo il ruolo di titolare della cattedra di Scienza politica nella facoltà di Scienze politiche e di Storia delle dottrine politiche. Negli ultimi anni Ornaghi ha scritto molti volumi e saggi su riviste italiane e internazionali approfondendo il sistema politico e le èlite dell'Italia, oltre che l'integrazione politico-istituzionale dell'Europa e la Costituzione europea. Nel 2006 il rettore ha ricevuto l'Ambrogino d'oro dal Comune di Milano.

Renato Balduzzi, ministro per la Salute

Nato a Voghera il 12 febbraio 1955, sposato con tre figli e attuale direttore dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). Balduzzi succede a Ferruccio Fazio. Dopo aver conseguito nel marzo 1979 la laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Genova discutendo con il professor Lorenzo Acquarone una tesi sul tema "Il controllo della Corte dei conti sui decreti-legge e sui decreti delegati", massimo dei voti e dignità di stampa, ha compiuto, sotto la guida del professor Federico Sorrentino, studi di diritto costituzionale europeo presso la Commissione della Comunità economica europea (1981-1982) e l'Istituto universitario europeo e di diritto costituzionale comparato presso l'Università di Paris X - Nanterre (1985-1986), sotto la guida del professor Michel Troper. Nell'Università del Piemonte Orientale 'A. Avogadro' è, dal 2008, coordinatore del dottorato di ricerca su Autonomie locali, servizi pubblici e diritti di cittadinanza e, dal 2007, direttore del Centro di eccellenza interfacoltà di servizi per il management sanitario.

Mario Catania, ministro delle Politiche Agricole e forestali

Dal novembre 2009 è capo Dipartimento delle politiche europee e internazionali del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Sale quindi alla guida del ministero un tecnico, al Mipaaf dal 1978. È nato a Roma nel 1952. Catania ha avuto competenze, in qualità di capo dipartimento, in materia di politiche di mercato nel settore agricolo e agroalimentare, della pesca e dell'acquacoltura e ha curato i rapporti con l'Unione europea nella fase di formazione e di attuazione della normativa comunitaria del Consiglio, del Parlamento e della Commissione.

Corrado Clini, ministro dell'Ambiente

Nato a Milano nel 1937. Sessantaquattro anni, di Latina, Corrado Clini arriva da direttore generale per lo Sviluppo sostenibile, il clima e l'energia dello stesso dicastero. Clini è stato responsabile del Fondo rotativo del protocollo di Kyoto in Italia e sono note da tempo le sue posizioni critiche sul protocollo: è invece a favore di una nuova economia globale basata sulla diffusione e lo sviluppo di tecnologie a basso contenuto di carbonio nei paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo. Laureato in medicina e chirurgia all'Università di Parma, Clini è stato Chairman della Global bioenergy partnership, Chairman della European environment and health committee, membro dei comitati di governance internazionali Cciced (Cina) e dell'assemblea generale del Regional environment center (Rec) di Budapest; ricercatore alle Università di Harvard e Tshingua; presidente della commissione tecnica Cipe per la riduzione delle emissioni. È stato vicecommissario dell'Enea e vicepresidente del'agenzia europea dell'ambiente.Lo scorso agosto era stato nominato dall'ex ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini presidente del Consorzio per l'area di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste.

Antonio Catricalà sottosegretario della Presidenza del Consiglio

Torna a Palazzo Chigi dove è già stato segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sposato, due figlie, Catricalà è stato fino ad oggi Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ruolo ricoperto dal 9 marzo 2005. Il suo incarico all'Antitrust sarebbe terminato a marzo 2012, momento in cui, secondo le sue stesse parole, avrebbe puntato a "rindossare la toga", tornando quindi alla sua lunga carriera di magistrato e giurista. Nato a Catanzaro il 7 febbraio 1952, a ventidue anni si è laureato con lode in legge a Roma ed è stato nominato, a seguito di concorso, assistente di Pietro Rescigno (La Sapienza - Facoltà di Giurisprudenza), di cui era stato studente. Per due anni ha studiato economia, sociologia, storia e scienza dell'amministrazione presso l'Istituto Luigi Sturzo di Roma, dove è stato allievo di Federico Caffè. A ventiquattro anni ha vinto il concorso in magistratura ordinaria e ha superato l'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense. Ha vinto i concorsi per procuratore dello Stato e, a ventisette anni, per avvocato dello Stato. Dal 2006 è Presidente di sezione del Consiglio di Stato in posizione di fuori ruolo. Presidente e componente di collegi amministrativi, ha collaborato con l'Ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è stato Capo di Gabinetto e consigliere giuridico nei Ministeri. È stato segretario generale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

Ministri senza portafoglio

Enzo Moavero Milanesi - Affari Europei

È giudice presso la Corte europea di Giustizia di Lussemburgo. Avvocato romano, 57 anni, specializzato in antitrust, è stato fino al 2006 direttore generale del 'Bureau of European Policy Advisors' della Commissione europea. Vice segretario generale dell'esecutivo Ue dal 2002 al 2005, era stato in precedenza direttore del Servizio Antitrust (2000-2001), e capo di gabinetto dell'allora commissario Ue alla Concorrenza Mario Monti (1999-2000) e con lo stesso incarico aveva affiancato il neo premier anche quando era alla guida del Mercato Interno (1995-1999). Dopo la laurea in legge alla Sapienza nel 1977, e un tirocinio in uno studio legale di diritto internazionale, Moavero nel 1982 si è specializzatoi al noto College of Europe di Bruges. Un anno dopo, ecco un altro titolo di specializzazione in diritto internazionale presso la University of Texas, a Dallas. Fra 1992 e 1994 rientra spesso a Roma come consigliere dei governi Amato e Ciampi.

Piero Gnudi - Turismo e Sport

È nato a Bologna il 17 maggio 1938. Dottore commercialista iscritto all'Ordine di Bologna dal 1964 ed al Registro dei Revisori Contabili dalla sua istituzione nel 1995 è fondatore dello Studio Gnudi. Consigliere di Amministrazione di Unicredit, è membro del Consiglio Generale e della Giunta direttiva di Assonime, del Comitato Esecutivo e del Consiglio Generale dell'Aspen Istitute, del Comitato Direttivo del Consiglio per le Relazioni tra Italia e Stati Uniti. È stato presidente, membro del Consiglio di amministrazione, e Sindaco di importanti Società a cominciare da Enel (di cui è stato presidente), all'Iri, di cui è stato presidente e ad. E' stato inoltre presidente di Rai Holding, presidente Locat, presidente Astaldi.

Fabrizio Barca - Coesione territoriale

Nato a Roma nel 1952, laurea in Scienze statistiche e demografiche (indirizzo economico) all'Università di Roma; master of Philosophy in Economia all'Università di Cambridge e visiting professor presso le Università Mit e Stanford, Barca vanta un curriculum di studi internazionale. Ha insegnato nelle Università di Siena, Bocconi, Roma 'Tor Vergata', Modena, Urbino. È capo del dipartimento delle Politiche di Sviluppo del ministero dell'Economia e delle Finanze. Il neoministro può vantare anche una conoscenza specifica, rispetto all'incarico che andrà a ricoprire. Infatti a partire dal 1998 ha contribuito, al ministero del Tesoro, agli studi sullo sviluppo economico italiano e alla rifondazione delle politiche territoriali di sviluppo, studi che prima aveva condotto presso la Banca d'Italia come direttore di Area. La sua esperienza sul territorio è proseguita anche in seguito, quando nel 1999 è stato nominato presidente del comitato per le Politiche territoriali dell' Ocse. Barca ha inoltre scritto numerosi saggi e volumi sull'impresa, sul governo societario, sul capitalismo italiano.

Piero Giarda - Rapporti con il Parlamento

Nato a Milano nel 36. Laureato in economia e commercio nell'Università Cattolica di Milano nel 1962, ha studiato nelle Università di Princeton e Harvard nel periodo 1965-69. È responsabile del Laboratorio di Analisi Monetaria dell'Università Cattolica. Componente del Comitato direttivo della scuola per il dottarato in Economia e finanza delle amminsitrazioni pubbliche. Ha svolto attività di consulenza alla Presidenza del Consiglio e al Ministero delle Finanze. È stato Presidente della Commissione Tecnica per la Spesa pubblica presso il Ministero del Tesoro dal 1986 al 1995. È stato Sottosegretario di Stato al Ministero del Tesoro dal 1995 al 2001. Libero docente di Scienza delle finanze e diritto finanziario nel 1970. Ha insegnato all'Università Cattolica dal 1968 fino al 1976 in qualità di professore incaricato; dal 1976 al 2001 in qualità di professore ordinario di Scienza delle finanze. Ha insegnato anche alla Università degli Studi della Calabria dal 1972 al 1975 e all'Università di Harvard nel 1970.

Andrea Riccardi - Cooperazione internazionale

Nato a Roma il 16 gennaio del 1950, è ordinario di Storia contemporanea all'Università degli Studi Roma Tre, noto come studioso della Chiesa in età moderna e contemporanea. Al di là del suo impegno accademico, Riccardi è conosciuto come fondatore della Comunità di Sant'Egidio: il 7 febbraio del 1968, ancora studente, Riccardi si riunì per la prima volta con un gruppo di liceali, nell'Oratorio della Chiesa Nuova, il santuario di san Filippo Neri. Da quel primo incontro nascerà appunto la Comunità di Sant'Egidio che nel settembre 1973 stabilì il proprio centro in Piazza Sant'Egidio, a Roma, in un ex convento di monache carmelitane. Con la Comunità Riccardi ha concretizzato un forte impegno per la pace che lo ha visto nel ruolo di mediatore in diversi conflitti e ha contribuito al raggiungimento della pace in alcuni Paesi, tra cui il Mozambico, il Guatemala, la Costa d'Avorio

giovedì 29 settembre 2011

L'appello del Card. Angelo Bagnasco alla società italiana

Conferenza Episcopale Italiana
CONSIGLIO PERMANENTE
Roma, 26 - 29 settembre 2011

O.d.g. n. 1

PROLUSIONE
DEL CARDINALE PRESIDENTE

Venerati e cari Confratelli,

avvio questa riflessione facendo subito riferimento al clima che – a giudizio di molti osservatori, ma è anche nostra sensazione – appare emergente, ossia il senso di insicurezza diffuso nel corpo sociale, rafforzato da un attonito sbigottimento a livello culturale e morale. Un’insicurezza che si va cristallizzando, e finisce per prendere una forma apprensiva dinanzi al temuto dileguarsi di quegli ancoraggi esistenziali per i quali ognuno si industria e fatica, essendo essi ragione di una stabilità messa oggi in discussione, per cause in larga misura non dipendenti da noi. Non si era capito, o forse non avevamo voluto capire, che la crisi economica e sociale, che iniziò a mordere tre anni or sono, era in realtà più vasta e potenzialmente più devastante di quanto potesse di primo acchito apparire. E avrebbe presentato un costo ineludibile per tutti i cittadini di questo Paese. Spetta ad altri dar conto degli scenari che si presentano sul versante economico-sociale; per parte nostra siamo specialmente in apprensione per le pesanti conseguenze sulla vita della gente e gli effetti interiori di questa crisi che, a tratti, sembra produrre un oscuramento della speranza collettiva. Se ne vede traccia in certa perplessità trascinata e stanca, in una amarezza dichiarata, in un risentimento talora sordo, in un cinismo che denuncia una sconfortata rassegnazione. Circola l’immagine di un Paese disamorato, privo di slanci, quasi in attesa dell’ineluttabile. Ebbene, in quanto Vescovi non possiamo essere spettatori intimiditi; nostro compito è proporci come interlocutori animati da saggezza, interessati a «rompere questo determinismo dell’immanenza o, meglio, aprirlo alla concezione cristiana della storia e del tempo» (Giandomenico Mucci, Il discernimento dei segni dei tempi, “La civiltà cattolica”, 7 maggio 2011). Vorremmo cioè, con passo lieve, accostarci al cuore di ciascuno dei nostri connazionali, e dire la parola più grande e più cara che abbiamo, e che raccoglie ogni buona parola umana: Gesù Cristo. Noi lo annunciamo a tutti come discepoli e Vescovi: Egli è Dio con noi e per noi, affinché abbiamo a non inaridirci, stanchi prigionieri del nostro «io». No, non dobbiamo affliggerci come chi non ha speranza (cfr 1Ts 4,13): una speranza che «attira − dentro il presente − il futuro […]. Il fatto che questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtà futura» (Spe salvi n. 7).

Perché questa dinamica salvifica si esplichi non ci stanchiamo, con l’aiuto dello Spirito, di esercitare il nostro arduo quanto irrinunciabile ministero, «di ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo, e di saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire presentata in forma più adatta» (Gaudium et spes, n. 44). È ciò che ci proponiamo umilmente di perseguire anche nell’attuale sessione autunnale del nostro Consiglio Permanente, agli inizi del nuovo Anno pastorale, e a congedo di una stagione estiva particolarmente densa di eventi e segni.

Vorremmo che la nostra parola, se deve echeggiare nel cuore degli italiani e nell’opinione pubblica, riuscisse a risvegliare la speranza, e ad un tempo quella tensione alla verità senza la quale non c’è democrazia.

2. Com’è noto, dal 3 all’11 settembre abbiamo celebrato ad Ancona, e nelle Diocesi di quella Metropolìa, il 25° Congresso Eucaristico Nazionale, appuntamento che ha visto un’elevata partecipazione di popolo proveniente da ogni parte d’Italia, e una vigorosa tensione spirituale realmente unitiva. Nel passaggio culminante, che coincideva con la giornata conclusiva, il congresso ha accolto il Pellegrino più illustre e atteso. Benedetto XVI continua infatti a riservare alla Chiesa italiana gesti di squisita attenzione ed autentica premura apostolica. Nei giorni scorsi lo abbiamo seguito e ammirato durante la visita che egli ha compiuto nella sua terra di Germania, ci siamo rallegrati per il successo del non facile viaggio, soprattutto ci siamo messi in ascolto del suo magistero nitido e straordinario: occorrerà che su di esso ritorniamo con una riflessione più distesa e impegnativa. Ma per restare al nostro incontro anconetano, in nessuno dei suoi momenti abbiamo vissuto staccati dal mondo, dal nostro Paese, dalla società di cui siamo parte. Abbiamo, in verità, celebrato questo Congresso Eucaristico facendo memoria del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ma – prima ancora – l’avevamo voluto per rinnovare la nostra consegna all’Eucaristia quale mistero d’amore che, unendoci intimamente a Gesù, ci apre ai fratelli. Potremmo dire che davvero abbiamo inteso portare là – dove pubblicamente si è posto il centro irradiante della nostra fede – tutta l’Italia e tutti gli italiani. D’altra parte il nostro popolo, senza sottrarsi ai doveri e alle forme proprie della collettività, avverte costantemente che c’è una «Presenza altra» nella storia che coincide con la forza rigenerante dell’Eucaristia, custodita e celebrata nei grandi e nei piccoli centri disseminati lungo la Penisola, crogiuolo benedetto da cui è scaturita l’identità profonda della Nazione, assai prima della sua stessa unificazione istituzionale e politica.

La storia dei Congressi Eucaristici nazionali, del resto, è intrecciata indissolubilmente alla vita e alle trasformazioni del Paese e riflette fin dal primo appuntamento, quello di Napoli del 1891, le differenti stagioni civili e culturali che l’hanno coinvolto: infatti, «L’unione con Cristo che si realizza nel Sacramento ci abilita ad una novità di rapporti sociali: la ‘mistica’ del Sacramento ha un carattere sociale» (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 89), e ci spinge per ciò stesso a raccogliere le implicanze dell’«Eucaristia per la vita quotidiana», come suggeriva l’argomento posto a tema del congresso. Non è un caso che certo affievolimento della fede proceda di pari passo con il venir meno di una autentica sensibilità per il bene comune. «L’Eucaristia – diceva il Papa – sostiene e trasforma l’intera vita quotidiana (…). La bimillenaria storia della Chiesa è costellata di Santi e di Sante la cui esistenza è segno eloquente di come proprio dalla comunione con il Signore, dall’Eucaristia, nasca una nuova e intensa assunzione di responsabilità a tutti i livelli della vita comunitaria» (Omelia a conclusione del Congresso Eucaristico Nazionale, 11 settembre 2011). Lo snodarsi delle giornate, incentrate sui cinque ambiti esistenziali su cui lavorammo già al Convegno ecclesiale di Verona, hanno messo in risalto l’«osmosi» possibile, ma anche esaltante, tra il mistero che celebriamo e le dimensioni dell’esistenza quotidiana: «Non vi è nulla di autenticamente umano – concludeva il Santo Padre – che non trovi nell’Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza» (ib).

Ringraziamo commossi il Papa per aver voluto ancora una volta spezzare il Pane con noi, e ringraziamo i Vescovi che più si sono fatti carico di questo memorabile evento: in particolare, l’Arcivescovo Edoardo Menichelli e la sua bella Chiesa di Ancona-Osimo, con i Pastori delle Chiese vicine di Fabriano-Matelica, Jesi, Senigallia e Loreto, e Mons. Adriano Caprioli, Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, presidente del Comitato per i Congressi Eucaristici nazionali, per la cura profusa lungo tutta la minuziosa preparazione e l’impegnativa celebrazione.

3. Non possiamo, ad un tempo, non evocare la Giornata Mondiale della Gioventù che si è svolta a Madrid dal 16 al 21 agosto. Hanno colpito, come dato esterno, la massiccia affluenza, quasi due milioni di giovani, provenienti da 193 Paesi, tanti quanti sono quelli rappresentati all’Onu. Ma ha sorpreso soprattutto la qualità della partecipazione, il fascino che questi giovani riescono a esprimere con i loro volti sorridenti, la serietà nei momenti giusti, i loro linguaggi, la loro buona educazione, persino la loro saggezza. Si è ripetuto anche stavolta lo stupore che già si era riscontrato a Sydney da parte della città ospitante, a motivo proprio della gioia e del garbo con cui questi protagonisti si sono presentati. Certo, hanno invaso Madrid, ma è stata ancora una volta un’invasione non solo pacifica, ma anche pacificante rispetto ad un contesto attraversato da varie tensioni, e ad un tempo è stata un’invasione radiosa. C’è da dire che l’età media era di 22 anni, e che il 70 per cento dei partecipanti era alla sua prima GMG. Dunque, un’ondata giovanile per gran parte nuova, ma non ripetitiva delle precedenti. Concentrata sull’evento, e fondamentalmente non interessata ad altre questioni – diciamo – intra-ecclesiali, è sembrata vivere ciascuno dei diversi momenti con una dedizione specifica. Si pensi all’allegria lungo le strade, ma poi all’attenzione in chiesa, per le catechesi, nonostante il caldo e la scomodità di vari luoghi d’incontro. E ancora all’affluire incessante e composto ai confessionali e all’interesse mirato su ogni esecuzione d’arte. Si pensi allo scompiglio tipicamente giovanile con cui hanno accolto l’inclemenza del tempo, il sabato sera, e al silenzio intensissimo e prolungato che subito dopo sono riusciti a realizzare per l’adorazione eucaristica. In questa sorprendente capacità di silenzio c’è una delle connotazioni più marcate della recente GMG, insieme ai dialoghi che seguivano le catechesi. Difficile davvero pensare che quello fosse un popolo inconsapevole e manovrabile.

È stato osservato che questa è la generazione giovanile scaturita dalle GMG di Benedetto XVI. Il che risulta vero non solo per il fattore anagrafico, ma per la corrente di simpatia che distintamente contrassegna il suo relazionarsi a questo Papa, l’immediatezza del loro intendersi, la finezza del loro corrispondersi… Papa Benedetto ha ormai impresso alla formula delle GMG un’inflessione di particolare cura nella preparazione personale e nell’esperienza sacramentale, comprensiva dell’adorazione eucaristica a scena aperta, quale gesto di riconoscimento plenario della signoria di Dio realmente presente. Col suo stile gentile, premuroso ed essenziale, mentre resisteva all’imperversare della tormenta – lui e loro, sferzati dalla pioggia – ha dato vita al momento forse più espressivo e memorabile del dialogo sviluppato tra il Papa e i giovani lungo i tre giorni madrileni, intessuti di una magia – non cercata ma effettiva – di sorrisi e gesti, preludio di un ascolto profondo. Tale alleanza, delicata e forte, tra Pietro e i giovani cattolici provenienti da ogni latitudine, e ad un tempo immediatamente in grado di sintonizzarsi tra loro e con il Papa, resta uno dei risultati più consolanti di questa iniziativa, per la quale avvertiamo il dovere di rivolgere il grazie più affettuoso e commosso a Giovanni Paolo II, oggi beato – osiamo crederlo – anche in forza di quel formidabile amore per i giovani che egli ha di fatto insegnato a tutta la Chiesa.

Una parola anche sugli altri partecipanti, ossia i sacerdoti che accompagnavano i gruppi di giovani e senza i quali non potrebbe esserci alcuna GMG. Li ringraziamo per la capacità di condivisione e di resistenza di cui ancora una volta hanno dato prova. I giovani hanno bisogno di trovare in loro non un ulteriore amico tra i tanti che già hanno, ma specificatamente un educatore che punta per ciascuno alla forma Christi. Per questi nostri presbiteri valga l’esempio proprio di Karol Wojtyla che, nel corso della sua vita sacerdotale, ha riservato ai giovani una cura privilegiata, trascorrendo lungo tempo in mezzo a loro, ma riuscendo puntualmente anche a distanziarsi per stare – egli non lo diceva, ma loro lo intuivano – in intimità con Gesù. In questo darsi e ritrarsi è racchiusa tutta la vita di ogni vero prete, che in tal modo può diventare figura attrattiva. Di noi Vescovi – presenti, quanto all’Italia, quasi per il 50% – vorrei dire che ci fa un gran bene questa ricorrente immersione nel mondo giovanile. Ci rigenera nella fiducia, ci medica e ci consola.

4. In un’indagine condotta durante la GMG, nove giovani su dieci avrebbero dichiarato di attendersi un grande cambiamento nella loro vita in seguito a quella esperienza. È interessante che da questi giovani il cambiamento non sia temuto ma cercato, e noi adulti abbiamo a prendere sul serio questo loro desiderio. Dobbiamo prenderli sul serio come fa il Papa, e come altri hanno fatto lungo la storia. Indicativa, al riguardo, la citazione papale dal Parmenide di Platone: «Cerca la verità mentre sei giovane, perché se non lo fai, poi ti scapperà dalle mani» (cfr. Incontro con giovani professori universitari, 19 agosto 2011). Per il momento culmine della GMG, la veglia del sabato, il Papa aveva scritto: «Non siamo frutto del caso o dell’irrazionalità, ma all’origine della nostra esistenza c’è un progetto d’amore di Dio. Rimanere nel suo amore significa quindi vivere radicati nella fede, perché la fede non è la semplice accettazione di alcune verità astratte, bensì una relazione intima con Cristo» (Omelia alla veglia di preghiera, 20 agosto 2011). Dunque, la fede come radicamento in una relazione a due, tra me e Dio! Al che, per farsi carico del potenziale stupore degli interlocutori, subito ha aggiunto: «Cari giovani, non conformatevi con qualcosa che sia meno della verità e dell’amore, non conformatevi con qualcuno che sia meno di Cristo. Precisamente oggi, in cui la cultura relativistica dominante rinuncia alla ricerca della verità e disprezza la ricerca della verità, che è l’aspirazione più alta dello spirito umano, dobbiamo proporre con coraggio e umiltà il valore universale di Cristo come salvatore di tutti gli uomini e fonte di speranza per la nostra vita» (ib). Non ci vuole molto a rilevare come il Papa condensi qui pagine poderose del magistero ecclesiale degli ultimi decenni, volto a riaffermare ciò che da alcune parti viene messo in discussione: la divinità di Cristo, unico salvatore dell’uomo e del mondo. Non ha insomma dispensato briciole, ma ha teso con gentilezza il pane sostanzioso della fede. Per questo aveva avvertito: «Non lasciatevi intimorire da un ambiente nel quale si pretende di escludere Dio e nel quale il potere, il possedere o il piacere sono spesso i principali criteri sui quali si regge l’esistenza. Può darsi che vi disprezzino, come si suole fare verso coloro che richiamano mete più alte o smascherano gli idoli dinanzi ai quali oggi molti si prostrano. Sarà allora che una vita profondamente radicata in Cristo si rivelerà realmente come una novità attraendo con forza coloro che veramente cercano Dio, la verità e la giustizia» (Omelia per i seminaristi, 20 agosto 2011). Cari giovani, in nome dell’amicizia che sentiamo per voi, e che pure abbiamo sentito da voi, vorremmo dirvi: il più e il meglio vengono ora. Lasciate che l’esperienza di Madrid lieviti in voi: è la fede la scelta della suprema, personale emancipazione. Guardate ai santi: avete mai riscontrato tra loro persone sbiadite? Insieme con Cristo, vivete in faccia al mondo l’umile fierezza di appartenergli e per questo sperimentare la gioia mai esaurita di servire i fratelli. Intanto, la prossima Giornata Mondiale della pace, il 1° gennaio 2012, avrà per tema i giovani, protagonisti della pace.

5. Quelli fino a qui evocati sono nella vita della Chiesa eventi, per quanto ricorrenti, pur sempre eccezionali. Chi non conosce allora l’obiezione? Nell’esperienza delle persone, è la vita quotidiana quella che conta… Ma è esattamente questo il motivo per il quale gli appuntamenti sopra richiamati devono concorrere alla rigenerazione del soggetto cristiano, tanto più in una stagione in cui la modernità s’è fatta liquida e tutto rischia di disperdersi. È vero che le nostre comunità cristiane sono − sociologicamente parlando − una rete di relazioni pressoché unica sul territorio, ma la Chiesa è qualcosa di più, c’è un Oltre che si deve perseguire e va assunto come il dato germinante. Mi ha colpito una confidenza che il Santo Padre ha fatto parlando, in San Giovanni, alla sua diocesi di Roma: «Mi torna alla memoria – egli ha detto – che, proprio in questa Basilica, in un intervento durante il Sinodo Romano, citai alcune parole che mi aveva scritto in una piccola lettera Hans Urs von Balthasar: “La fede non deve essere presupposta ma proposta”» (Discorso all’apertura del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma, 13 giugno 2011). E la fede è fede in Gesù Cristo dato a noi per la nostra gioia. Ecco ciò che «trafigge» il cuore (cfr At 2,37; e anche Discorso cit.), non altro. Il pensiero corre allora nuovamente ai nostri Sacerdoti: mentre solidarizziamo cordialmente con voi, e vi ringraziamo con grande affetto per quanto fate, dobbiamo ricordare una cosa importante, in qualche modo ovvia ma non scontata, e cioè che le nostre comunità sono chiamate ad un continuo itinerario di conversione. Se Cristo è al centro, Lui è anche l’unità di misura che costantemente ci contesta e ci spinge a conversione. Una conversione, di cui sarà bene mostrare anche tutta la convenienza. «Talvolta – diceva il Papa a Venezia – quando si parla di conversione, si pensa unicamente al suo aspetto faticoso, di distacco e di rinuncia. Invece, la conversione cristiana è anche e soprattutto fonte di gioia, speranza e amore» (Benedetto XVI, Omelia alla Messa al Parco di San Giuliano, Venezia 8 maggio 2011). E allora assumiamo il portato fragrante del Congresso Eucaristico, immettiamo nel tessuto comunitario i giovani della GMG, scuotiamo un po’ l’ambiente, proponendoci accoglienti verso quanti sono in ricerca o potrebbero aver voglia di ricominciare, come si diceva nell’assemblea di maggio.

6. Nel cuore dell’estate si è esplicitato un contrasto stridente tra ciò che avveniva per le vie di Madrid e certe turbolenze in atto nel mondo. Si va evidentemente configurando proprio nei giovani una grande questione mondiale. Non può essere un caso fortuito, né si può spiegare con la semplicistica teoria del contagio sociale, il fatto che sullo scacchiere internazionale siano scoppiate nell’arco degli ultimi dieci mesi una serie di manifestazioni che hanno avuto i giovani come protagonisti indiscussi. Avvertendosi tagliati fuori dai luoghi decisionali in cui si vanno affrontando i problemi dell’assetto economico e non solo, i giovani manifestano la loro incomprimibile esistenza. Certo, per taluni versi esistono tante gioventù e tanti modi di essere giovani. La terribile vicenda di Oslo ci dice che il seme del bene e quello del male sono presenti senza eccezioni nell’animo umano, catturabile talora da un estremismo che corrompe ogni fibra dell’essere, fino ad esplodere in tragedie che superano la stessa immaginazione. Situazioni altrimenti incresciose si sono verificate nelle capitali di vari Paesi europei, con risvolti tuttavia più complessi del passato. In particolare, la tipologia dei saccheggi ha interrogato le rispettive società, specialmente per quell’aspetto consumistico che fa intendere come si sia giunti ad un’ulteriore fase di individualismo esasperato e possessivo. «Prendo quello che voglio, perché posso»: sembra questa la spiegazione più pertinente di quanto accaduto. Ma è proprio sul fronte indicato da una simile espressione che bisogna condurre con onestà la disanima meno ipocrita. Quanti oggi, nel mondo che conta, volteggiano come avvoltoi sulle esistenze dei più deboli per cavarne vantaggi ancora maggiori che in altre stagioni? Questo «individualismo esasperato e possessivo» non è forse alla radice di tanti comportamenti rapaci in chi può, o ritiene di potere, a prescindere da ciò che è legittimo, giusto, onesto?

Né indignati, né rassegnati: questo suggeriva qualche confratello Vescovo spagnolo ai giovani della sua nazione, ed è quello che anche noi suggeriamo ai giovani del nostro Paese, perché si pone in questa direzione il passo efficace per contribuire a superare la crisi che pure ci coinvolge, e farlo in modo creativo e non distruttivo. Crescere senza ideali e senza limiti, in balia di un falso concetto di libertà, significa ritrovarsi insicuri, impacciati nel giudicare secondo razionalità, affidati a mere emozioni. Non possiamo non incoraggiare fortemente i giovani a essere protagonisti di un cambiamento spirituale e culturale, senza il quale nessuna soluzione tecnica può reggere. In questo senso siamo incoraggiati tutti ad agire, sulle tracce indicate dagli Orientamenti pastorali di questo decennio, nel quale siamo impegnati ad affrontare la sfida educativa.

7. Più volte e da varie parti la popolazione del Nord del mondo era stata avvertita e sensibilizzata sul fatto che l’Occidente viveva al di sopra delle proprie possibilità. Ed era ragionevole pensare che la crisi esplosa tra il 2008 e il 2009 avesse indotto non solo a tamponare le falle che si erano infine aperte, ma a introdurre elementi virtuosi per raddrizzare progressivamente il sistema dell’economia mondiale. Ma così non è stato. E quando infine si sperava di cominciare a vedere la luce, la crisi ha dato segnali di inequivocabile persistenza e per alcuni aspetti di pericolosa recrudescenza. La globalizzazione resta non governata, e sempre più tende ad agire dispoticamente prescindendo dalla politica. La finanza «è tornata a praticare con frenesia dei contratti di credito che spesso consentono una speculazione senza limiti. E fenomeni di speculazione dannosa si verificano anche con riferimento alle derrate alimentari, all’acqua, alla terra, finendo con impoverire ancor di più quelli che già vivono in situazione di grave precarietà» (Benedetto XVI, Discorso per il 50° dell’enciclica “Mater et magistra”, 16 maggio 2011). Nessuna nuova istituzione internazionale è stata nel frattempo messa in campo col potere di regolare appunto la funzionalità dei mercati allorché questi risultino anomali. Le agenzie che classificano l’affidabilità dei grandi soggetti economici hanno continuato a far valere la loro autarchica e misteriosa influenza, imponendo ulteriori carichi alle democrazie. Dal canto suo, l’Europa ha fatto fronte in ritardo e di malavoglia alle emergenze, incapace di esprimere una visione comunitaria inclusiva dei doveri propri della reciprocità e della solidarietà, soprattutto rivelando ancor di più lo squilibrio tra l’integrazione economica, di cui l’euro è espressione, e un’integrazione politica, ancora inadeguata, pesantemente burocratizzata e invasiva.

D’altronde, l’Italia non si era mai trovata tanto chiaramente dinanzi alla verità della propria situazione. Il che significa, tra l’altro, correggere abitudini e stili di vita. Qualcosa di facile a dire, ma estremamente difficile ad applicare, anzitutto per sé. Ci preoccupa come Vescovi l’assenza di un affronto serio e responsabile del generale calo demografico, e quindi del rapporto sbilanciato tra la popolazione giovane e quella matura e anziana. Il fenomeno va ad interessare anche le funzioni previdenziali e pensionistiche non solo delle generazioni a venire ma già di quanti sono oggi giovani. Se non si riescono a far scaturire, nel breve periodo, le condizioni psicologiche e culturali per siglare un patto intergenerazionale che, considerando anche l’apporto dei nuovi italiani, sia in grado di raccordare fisco, previdenza e pensioni avendo come volano un’efficace politica per la famiglia, l’Italia non potrà invertire il proprio declino: potrà forse aumentare la ricchezza di alcuni, comunque di pochi, ma si prosciugherà il destino di un popolo.

8. Conosciamo le preoccupazioni che pulsano nel corpo vivo del Paese, e non ci sfugge certo quel che, a più riprese, si è tentato di fare e ancora si sta facendo per fronteggiarle. L’impressione tuttavia è che, stando a quel che s’è visto, non sia purtroppo ancora sufficiente. Colpisce la riluttanza a riconoscere l’esatta serietà della situazione al di là di strumentalizzazioni e partigianerie; amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando l’impressione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai compiti istituzionali e al portamento richiesto dalla scena pubblica, specialmente in tempi di austerità. Rattrista il deterioramento del costume e del linguaggio pubblico, nonché la reciproca, sistematica denigrazione, poiché così è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di rinascimento anche politico. Mortifica soprattutto dover prendere atto di comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui. Non è la prima volta che ci occorre di annotarlo: chiunque sceglie la militanza politica, deve essere consapevole «della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda» (Prolusione al Consiglio Permanente del 21-24 settembre 2009 e del 24-27 gennaio 2011). Si rincorrono, con mesta sollecitudine, racconti che, se comprovati, a livelli diversi rilevano stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica. Da più parti, nelle ultime settimane, si sono elevate voci che invocavano nostri pronunciamenti. Forse che davvero è mancata in questi anni la voce responsabile del Magistero ecclesiale che chiedeva e chiede orizzonti di vita buona, libera dal pansessualismo e dal relativismo amorale? Annotava giorni fa il professor Franco Casavola, Presidente emerito della Corte Costituzionale: «L’unica voce che denuncia i guasti della società della politica è quella della Chiesa cattolica» (Corriere della sera, 20 settembre 2011). Lo citiamo non per vantare titoli, ma per invitare tutti a non cercare alibi. Ci commuove sentire la fiducia e la gratitudine che vengono espresse quando, come Vescovi, ci rechiamo nei molteplici ambienti di lavoro delle nostre città, campagne, porti. Ci commuovono soprattutto le parole della gente più semplice, dei lavoratori più umili: noi vi siamo grati per la vostra gratitudine che ci riconosce Pastori e amici, riferimenti affidabili là dove, per voi e le vostre famiglie, guadagnate un pane spesso difficile e a volte incerto. I vostri sentimenti ci invitano all’umiltà, responsabili come siamo del patrimonio di fiducia che ci confidate. Ci incoraggiano a esservi sempre più vicini ovunque, per raccogliere le ansie e le gioie dei vostri cuori, continuando a dar loro voce ed espressione. Noi nulla chiediamo, se non di starvi accanto con il rispetto e l’amore di Cristo e della Chiesa.

Tornando allo scenario generale, è l’esibizione talora a colpire. Come colpisce l’ingente mole di strumenti di indagine messa in campo su questi versanti, quando altri restano disattesi e indisturbati. E colpisce la dovizia delle cronache a ciò dedicate. Nessun equivoco tuttavia può qui annidarsi. La responsabilità morale ha una gerarchia interna che si evidenzia da sé, a prescindere dalle strumentalizzazioni che pur non mancano. I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà. Ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune. Tanto più ciò è destinato ad accadere in una società mediatizzata, in cui lo svelamento del torbido, oltre a essere compito di vigilanza, diventa contagioso ed è motore di mercato. Da una situazione abnorme se ne generano altre, e l’equilibrio generale ne risente in maniera progressiva. È nota la difficoltà a innescare la marcia di uno sviluppo che riduca la mancanza di lavoro, ed è noto il peso che i provvedimenti economici hanno caricato sulle famiglie; non si può, rispetto a queste dinamiche, assecondare scelte dissipatorie e banalizzanti. La collettività guarda con sgomento gli attori della scena pubblica e l’immagine del Paese all’esterno ne viene pericolosamente fiaccata. Quando le congiunture si rivelano oggettivamente gravi, e sono rese ancor più complicate da dinamiche e rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene generale, allora non ci sono né vincitori né vinti: ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili. La storia ne darà atto.

Solo comportamenti congrui ed esemplari, infatti, commisurati alla durezza della situazione, hanno titolo per convincere a desistere dal pericoloso gioco dei veti e degli egoismi incrociati.

9. La questione morale, complessivamente intesa, non è un’invenzione mediatica: nella dimensione politica, come in ciascun altro ambito privato o pubblico, essa è un’evenienza grave, che ha in sé un appello urgente. Non è una debolezza esclusiva di una parte soltanto e non riguarda semplicemente i singoli, ma gruppi, strutture, ordinamenti, a proposito dei quali è necessario che ciascuna istituzione rispetti rigorosamente i propri ambiti di competenza e di azione, anche nell’esercizio del reciproco controllo. Nessuno può negare la generosa dedizione e la limpida rettitudine di molti che operano nella gestione della cosa pubblica, come pure dell’economia, della finanza e dell’impresa: a costoro vanno rinnovati stima e convinto incoraggiamento. Si noti tuttavia che la questione morale, quando intacca la politica, ha innegabili incidenze culturali ed educative. Contribuisce, di fatto, a propagare la cultura di un’esistenza facile e gaudente, quando questa dovrebbe lasciare il passo alla cultura della serietà e del sacrificio, fondamentale per imparare a prendere responsabilmente la vita. Ecco perché si tratta non solo di fare in maniera diversa, ma di pensare diversamente: c’è da purificare l’aria, perché le nuove generazioni – crescendo – non restino avvelenate. Chi rientra oggi nella classe dirigente del Paese deve sapere che ha doveri specifici di trasparenza ed economicità: se non altro, per rispettare i cittadini e non umiliare i poveri. Specie in situazioni come quella attuale, ci è d’obbligo richiamare il principio prevalente dell’equità che va assunto con rigore e applicato senza sconti, rendendo meno insopportabili gli aggiustamenti più austeri. È sull’impegno a combattere la corruzione, piovra inesausta dai tentacoli mobilissimi, che la politica oggi è chiamata a severo esame. L’improprio sfruttamento della funzione pubblica è grave per le scelte a cascata che esso determina e per i legami che possono pesare anche a distanza di tempo. Non si capisce quale legittimazione possano avere in un consorzio democratico i comitati di affari che, non previsti dall’ordinamento, si auto-impongono attraverso il reticolo clientelare, andando a intasare la vita pubblica con remunerazioni – in genere – tutt’altro che popolari. E pur tuttavia il loro maggior costo sta nella capziosità dei condizionamenti, nell’intermediazione appaltistica, nei suggerimenti interessati di nomine e promozioni. Al punto in cui siamo, è essenziale drenare tutte le risorse disponibili – intellettuali, economiche e di tempo – convogliandole verso l’utilità comune. Solo per questa via si può salvare dal discredito generalizzato il sistema della rappresentanza, il quale deve dotarsi di anticorpi adeguati, cominciando a riconoscere ai cittadini la titolarità loro dovuta.

10. L’altro fronte vitale per la nostra democrazia è l’impegno di contrasto all’evasione fiscale. Difficile sottrarsi all’impressione che non tutto sia stato finora messo in campo per rimuovere questo cancro sociale, che sta soffocando l’economia e prosciugando l’affidabilità civile delle classi più abbienti. Il grottesco sistema delle società di comodo che consentono l’abbattimento artificioso dei redditi appare – alla luce dei fatti – non solo indecoroso ma anche insostenibile sotto il profilo etico. Bisogna che gli onesti si sentano stimati, e i virtuosi siano premiati. Sono tanti i cittadini per bene e le famiglie che adempiono positivamente i loro compiti. A un’osservazione attenta, le ragioni per cui guardare avanti ci sono: la strada si è fatta più impervia e il consumismo potrebbe averci fiaccato, ma il popolo italiano odierno sa di non essere da meno delle generazioni che l’hanno preceduto. E sa anche che le conquiste di ieri hanno oggi bisogno di essere riguadagnate: il «parassitismo esistenziale» infatti è solo istinto di psicologie fragili e derelitte. Il brontolio sordo non aiuta a vivere meglio, demotiva anzi ulteriormente. La gente di questo Paese dà il meglio di sé nei momenti difficili: certo, le occorre per questo un obiettivo credibile, per cui valga la pena impegnarsi. Questo obiettivo c’è, e coincide con il portare l’Italia fuori dal guado in cui si trova anche per un certo scoramento. Portarla fuori perché sia all’altezza delle proprie responsabilità storiche e culturali. Il che significa darle il futuro che merita, e che serve al mondo intero. L’Italia ha una missione da compiere, l’ha avuta nel passato e l’ha per il futuro. Non deve autodenigrarsi! Bisogna dunque reagire con freschezza di visione e nuovo entusiasmo, senza il quale è difficile rilanciare qualunque crescita, perseguire qualunque sviluppo.

La Chiesa pellegrina in Italia non intende sottrarsi alle attese e alle responsabilità che le competono. Negli ultimi anni, in coincidenza col dispiegarsi della crisi, essa ha intensificato la propria capillare presenza, a cerniera tra il territorio e i bisogni della gente. Le iniziative molteplici e straordinarie delle diocesi e quella stessa – «Il prestito della speranza» – promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, si sono aggiunte alla fitta rete di vicinanza e di solidarietà quotidiana; e testimoniano la partecipazione sincera della comunità credente alle ansie comuni. Nel frattempo, anche il moltiplicarsi di impegni a favore delle popolazioni più colpite e quelle più derelitte del mondo documenta la tensione che ci pervade, e ci ha indotti a operare ogni risparmio e potare poste di bilancio consolidate per concentrarci sui fronti oggi più esposti. Fidandoci dell’aiuto di Dio che mai manca, siamo intensamente grati alla Caritas e alla Migrantes per quanto fanno ogni giorno, al di fuori di qualsiasi pubblicità, canalizzando e dando sbocchi ravvicinati e credibili alla carità della Chiesa e di molti italiani. Quanto alla discussione, non sempre garbata e informata, che c’è stata negli ultimi tempi circa le risorse della Chiesa, facciamo solo notare che per noi, sacerdoti e Vescovi, e per la nostra sussistenza, basta in realtà poco. Così come per la gestione degli enti dipendenti dalle diocesi: essa si ispira ai criteri della trasparenza, senza i quali non potrebbe sussistere l’estimazione da parte di molti. Se abusi si dovessero accertare, siano perseguiti secondo giustizia, in linea con le norme vigenti. Per il resto, ci affidiamo all’intelligenza e all’onestà degli uomini, segnalando che risposte a nostro avviso esaurienti, seppur non troppo considerate, sono già state offerte all’opinione pubblica: segnalo per tutte la pagina a firma di Patrizia Clementi, pubblicata su Avvenire lo scorso 21 agosto.

11. Riguardo alla presenza dei cattolici nella società civile e nella politica, siamo convinti che, anche quando non risultano sugli spalti, essi sono per lo più là dove vita e vocazione li portano. Gli anni da cui proveniamo potrebbero aver indotto talora a tentazioni e smarrimenti, ma hanno indubbiamente spinto i cattolici, alla scuola dei Papi, a maturare una più avvertita coscienza di sé e del proprio compito nel mondo. Un nucleo più ristretto ma sempre significativo di credenti, sollecitati dagli eventi e sensibilizzati nelle comunità cristiane, ha colto la rinnovata perentorietà di rendere politicamente più operante la propria fede. Sono così nati percorsi diversi, a livelli molteplici, per quanti intendono concorrere alla vitalità e alla modernità della polis, percorsi che hanno dato talora un senso anche di dispersione e scarsa incidenza. Tuttavia, non si può non riconoscere che si è trattato di una sorta di incubazione che, se non ha mancato di produrre qua e là dei primi risultati, sta determinando una situazione nuova, rispetto alla quale un osservatore della tempra di Giuseppe De Rita alcune settimane fa annotava: «Chi fa politica non si rende conto che milioni di fedeli vivono una vicinanza religiosa che si fa sempre più attenta ai “fatti della vita politica”, con comuni opinioni socio-politiche, e con ambizioni di vita comunitaria di buona qualità» (Corriere della sera, 6 agosto 2011). Sta lievitando infatti una partecipazione che si farebbe fatica a non registrare, e una nuova consapevolezza che la fede cristiana non danneggia in alcun modo la vita sociale. Anzi! A dar coscienza ai cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza esterna, ma i valori dell’umanizzazione: chi è l’uomo, qual è la sua struttura costitutiva, il suo radicamento religioso, la via aurea dell’autentica giustizia e della pace, del bene comune… Valori – lo diciamo solo di passaggio – che si sta imparando a riconoscere e a proporre con crescente coraggio, e che in realtà finiscono per far sentire i cattolici più uniti di quanto taluno non vorrebbe credere. Nel contempo, sempre di più richiamano anche l’interesse di chi esplicitamente cattolico non si sente. A un tempo, c’è un patrimonio di cultura fatto di rappresentanza sociale e di processi di maturazione comunitaria. Dove avviene qualcosa di simile, nel contesto italiano? Ebbene, questo giacimento valoriale ed esistenziale rappresenta la bussola interiormente adottata dai cattolici, e da esso si sprigionano ormai ordinariamente esperienze che sono un vivaio di sensibilità, dedizione, intelligenza che sempre più si metterà a disposizione della comunità e del Paese. Non sempre tutto è così lineare, è vero. Lentezze, chiusure, intimismi restano in continuo agguato, ma ci sembra che una tensione si vada sviluppando grazie alle comunità cristiane, alle molteplici aggregazioni ecclesiali o di ispirazione cristiana, e grazie anche al lavoro realizzato dai nostri media, che sono diventati dei concreti laboratori di idee e dei riferimenti ormai imprescindibili. Sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica, che – coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita – sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni.

Sarà bene anche affinare l’attitudine a cercare, sotto la scorza dei cambiamenti di breve periodo, le trasformazioni più profonde e durature, consci, tra l’altro, che una certa cultura radicale − al pari di una mentalità demolitrice − tende a inquinare ogni ambito di pensiero e di decisione. Muovendo da una concezione individualistica, essa rinchiude la persona nell’isolamento triste della propria libertà assoluta, slegata dalla verità del bene e da ogni relazione sociale. Per questo, dietro una maschera irridente, riduce l’uomo solo con se stesso, e corrode la società, intessuta invece di relazioni interpersonali e legami virtuosi di dedizione e sacrificio.

La transizione dei cattolici verso il nuovo inevitabilmente maturerà all’interno della transizione più generale del Paese, e oserei dire anche dell’Europa, secondo la linea culturale del realismo cristiano, e secondo quegli atteggiamenti culturali di innovazione, moderazione e sobrietà che da sempre la connotano. È forse «pensabile – si chiedeva il Rettore magnifico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, professor Lorenzo Ornaghi – che rispetto a tale politica risultino latitanti, facilmente emarginabili, irrilevanti, non tanto singole personalità cattoliche, quanto i cattolici italiani come presenza vitale e immediatamente riconoscibile, perché efficacemente organizzata?» (Intervista ad Avvenire, 24 luglio 2011).

12. All’inizio del nuovo anno scolastico, desideriamo rivolgere un augurio sentito ai giovani che si accingono a compiere questo ulteriore tragitto della loro crescita. La scuola si trova spesso coinvolta in polemiche e vicissitudini anche serie, che tuttavia restano ai margini rispetto al bonum che, in questa istituzione nevralgica, è rappresentato dal processo di crescita umana e dallo sviluppo della conoscenza nei protagonisti principali che sono gli studenti. A loro il nostro pensiero affettuoso e pieno di fiducia: imparino a pensare in autonomia e senso critico, sappiano infatti che è questa l’attitudine principale di libertà e responsabilità, ed è anche l’intelaiatura su cui può proficuamente poggiare l’esperienza comunicativa e l’esposizione mediatica. A loro associamo gli insegnanti e tutto il personale amministrativo e tecnico della scuola italiana. Siano consapevoli che – insieme alla famiglia − sono garanti dell’impresa qualitativamente più importante e sacra di ogni comunità: la cura educativa, culturale e intellettuale delle nuove generazioni. Alla classe politica e amministrativa chiediamo di dare ragione della centralità della scuola, con lucidità e lungimiranza, adottando decisioni di equità e di giustizia rispetto a tutte le esperienze proficuamente attive, dalla scuola materna all’università, valorizzando anche il patrimonio della scuola cattolica e sostenendo il diritto dei genitori di scegliere l’educazione per i propri figli. Senza considerare che ogni volta che una scuola paritaria è costretta a chiudere, ne deriva un aggravio economico per lo Stato e una ferita per la scuola nel suo insieme.

Continuiamo a prestare l’attenzione necessaria al comparto comunicativo e televisivo, affinché le innovazioni avvengano nel rispetto del pluralismo e della vocazione culturale del nostro popolo, a partire dalle esigenze dei singoli territori.

Ai quindici ostaggi italiani che si trovano «prigionieri» in Africa per opera di estremisti o criminali va la nostra viva solidarietà, la nostra premura e l’auspicio che quanto prima, grazie all’iniziativa accorta e vigorosa delle autorità, possano essere restituiti sani all’affetto e alle necessità delle loro famiglie. Ai parenti delle vittime del terrorismo caduti in patria o all’estero diciamo la nostra continua vicinanza, ammirando quel coraggio della quotidianità che testimoniano agli occhi di chi non vuol essere un cittadino svagato né immemore.

Il nostro esplicito appoggio va ai sacerdoti che sono sotto il tiro della malavita e a quanti, laici o religiosi, sono impegnati sul territorio in nome della giustizia e del rispetto della legge. Chi attacca loro, lo sappia, attacca noi tutti.

Conosciamo di persona, e tramite i nostri cappellani, le condizioni in cui si trovano molti dei carcerati e di coloro che li custodiscono. Disagi che troppo spesso arrivano a livelli intollerabili – e a scelte tristemente estreme – a motivo del sovraffollamento registrabile in diversi penitenziari del nostro Paese. Si sappia che tutto ciò che non viene fatto per la giusta pena e l’intelligente recupero dei carcerati, la comunità nazionale lo nega a se stessa e alle prospettive del proprio benessere.

La situazione del lavoro, la disoccupazione, il precariato, l’inattività di molti giovani: sono un nostro assillo costante. Conosciamo da vicino l’angoscia e i drammi, l’inquietudine e la rabbia di molti. Vorremmo avere una speciale capacità taumaturgica per risolvere in particolare questi problemi, tanto siamo convinti che la dignità della persona passa per il lavoro riconosciuto nella sua valenza sociale, così come matura nel grembo della famiglia che però deve essere posta al centro di politiche di sostegno dirette, concrete, efficaci. Non si tratta di una degnazione del mercato: il lavoro è un diritto-dovere iscritto nell’ordine creaturale, e dunque la società ha l’obbligo di porre le condizioni perché esso possa esplicarsi per tutti.

Infine, esprimiamo l’auspicio che la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento possa giungere quanto prima in porto: dopo l’approvazione della Camera dei Deputati, essa attende il secondo passaggio al Senato. La sollecitiamo con rispetto, nella persuasione che si tratta di un provvedimento oggi necessario per salvaguardare il diritto di tutti alla vita.

13. L’articolazione dell’intervento mi induce a procedere decisamente verso la conclusione, assicurando la nostra quotidiana preghiera per le situazioni di angustia che affliggono il mondo.

Innanzitutto nel Corno d’Africa dove una carestia, la peggiore degli ultimi sessant’anni, affligge almeno undici milioni di persone. Bisogna far di tutto per portare aiuto a queste persone nei loro villaggi e nelle loro città, per questo si va allertando la solidarietà del mondo, e insieme la nostra. La colletta nazionale speciale, svoltasi il 18 settembre, voleva essere un gesto corale, nella cornice indicata dal Papa con l’accorato Discorso alla 37a Assemblea della Fao, il 1° luglio 2011. Si tratta pur sempre di una piccola goccia nel mare delle urgenze. Non abbandoniamo questi fratelli, non carichiamo sulla nostra coscienza una nuova ecatombe. Più in generale, facciamo sì che il nostro modo di vivere cessi di far parte del problema, per concorrere invece alle sue soluzioni. In Africa, com’è noto, è nata la cinquantaquattresima nazione, il Sud Sudan, a cui va la nostra simpatia e la nostra amicizia. Protagonista primario di questa indipendenza è stato un nostro missionario e confratello, S.E. Monsignor Cesare Mazzolari: la sua improvvisa morte ha finito per dare ancor più rilievo all’opera di questo straordinario servitore del Vangelo che, per intelligenza e dedizione, è degno di figurare tra i più grandi missionari di ogni tempo. Purtroppo, l’amato Continente africano è sottoposto a tali pressioni e condizionamenti – interni ed esterni – da far temere per un suo realistico futuro di libertà e progresso. Ma guai ad arrendersi, e guai a non dare a tanti gesti di novità positiva – che pur non mancano – il loro giusto valore. Strategie di condizionamento stanno progressivamente intaccando anche gli esiti di quelle che sono state chiamate le primavere del Nordafrica, ciascuna delle quali – già lo sapevamo – va marcando un profilo proprio. Auguriamoci che si confermi l’evoluzione pacifica in atto nel Marocco e in Giordania; che la situazione della Siria non degeneri oltre e che si arrivi ad un nuovo equilibrio interno, di garanzia per tutti; che dalla tormentata vicenda bellica che ha interessato la Libia, segnata dall’ombra degli affari, si possa almeno trarre a livello internazionale la consapevolezza che la sovranità di un Paese non può andare contro il diritto alla vita dei suoi cittadini. Queste rivoluzioni hanno comunque assegnato alla ricorrenza decennale dell’11 settembre 2011 un carattere di movimento e di speranza. Auspichiamo che il raduno interreligioso di Assisi, indetto da Benedetto XVI per il 27 ottobre prossimo, a venticinque anni dal primo incontro voluto da Papa Wojtyla, sprigioni per intero le sua potenzialità di bene. A tale scopo noi e le nostre comunità ci sentiamo impegnati a pregare. È il modo più significativo per solidarizzare con i cristiani perseguitati in vari Paesi, dall’Iraq al Pakistan, dal Vietnam alla Cina.

Vi ringrazio, Confratelli cari, per la Vostra amabile attenzione che diviene subito, ne sono certo, occasione per approfondimenti e contributi importanti. Maria che, nell’Atto di affidamento in occasione del 150° dell’Unità d’Italia, il Papa ha invocato con noi e per noi quale Mater unitatis (cfr Discorso, 26 maggio 2011), indirizzi i nostri cuore e sostenga i nostri passi. Grazie.