sabato 17 maggio 2008

BOMPIETRO: UN PASSO INDIETRO PER UN SALTO VERSO LA VITA

Inesorabile trascorre il tempo lasciando dietro di se solo il ricordo di un passato che ciascuno rivive per un particolare vissuto come può essere una partita di calcio del Torneo delle Madonie o del Capitano Torre o di una giornata di festa. Ma tutti inesorabilmente constatiamo che nei nostri paesi oggi vive meno della metà della gente rispetto a solo 10 anni fa. Se ci fermiamo a guardare per una via le case costruite ai lati non possiamo non vedere che queste sono tutte vuote e abbandonate. Non possiamo non notare che neanche il periodo estivo o feriale in genere è scelto per ritornare nel luogo dove si è nati, cresciuti e vissuto per parecchi anni. Se ci fermiamo a parlare con qualche amico che dopo 4 o 5 anni ritorna per qualche giorno in occasione della festa patronale ascoltiamo sempre le stesse frasi: i figli sono cresciuti e non vogliono più venire a Bompietro perché non si divertono più, qui non c’è niente, manca l’acqua, alcuni paesani fanno finta di non conoscere, non si organizza niente e via di seguito, ovvero ascoltiamo le lamentele di chi non riesce a capire che tornare a Bompietro non significa solo rivisitare il luogo delle proprie origini ma anche e soprattutto continuare a far vivere quei paesi che altrimenti finirebbero col non esistere. Ma perché si va via? Perché si sceglie di andare altrove? La risposta è sempre la stessa: il Lavoro! Il lavoro sta spopolando tutti i centri urbani delle Madonie. Non ci sono più comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti; il comune più popolato è Gangi con una popolazione residente di 7.614 (dati ISTAT 2001), Bompietro ha una popolazione residente di 1.754. Eppure la terra delle Madonie ha prodotto ottimi artigiani della lavorazione della pietra, del ferro, del legno e le qualità delle nostre cave e delle nostre officine hanno dato un prodotto eccezionale nella realizzazione e produzione di opere artigianali. La nostra terra ha sempre prodotto alimenti genuini che hanno sfamato le bestie e gli uomini, le nostre sorgenti sono presenti nella moderna industria dell’acqua. Ma allora che cosa non ha funzionato? Il solo fattore che ha privato le Madonie delle necessarie e idonee vie di collegamento dell’entroterra con il litorale e quindi con le grandi vie di collegamento che avrebbero consentito di esportare i nostri prodotti può bastare a giustificare un simile spopolamento? O la rincorsa dell’agio, con un lavoro meno faticoso che magari ti ha permesso di vivere in una abitazione fornita di bagno, è stata scambiata per benessere? Così si sono svuotati i paesi e si sono riempite le città, città che oggi fanno fatica a respirare e a vivere serenamente, città sempre più stressate e violente. Ebbene se non riusciamo a far capire che l’agio oggi non è più in città non avremo mai più un’altra occasione per non far morire i nostri paesi. Devono essere di incoraggiamento tutte le scelte che hanno portano a creare, nella nostra terra, nuove iniziative economiche e sociali e che conseguono buoni risultati nel mondo del lavoro e delle professioni. Si deve puntare verso iniziative di nuova creazione e di riconversione di attività lavorative in ogni settore avendo una nuova e moderna concezione del mondo del lavoro. C’è bisogno che questo paese cominci a organizzarsi come sistema cooperativistico o associativo che coinvolga ogni famiglia, che ci sia il necessario supporto di tutti coloro che hanno responsabilità sia essa di natura genitoriale o politica o imprenditoriale. Bisogna creare la condizione affinché si cominci a produrre lavoro nelle nostre officine, nelle nostre botteghe, nei nostri laboratori affinché le nostre strade ricomincino a popolarsi di compratori e viandanti e le nostre piazze siano affollate e allietate. Bisogna capire che la ricerca di serenità dei “cittadini in fuga” è iniziata e ha cominciato a dare i primi frutti, si deve avere il giusto coraggio, il giusto sostegno, la giusta capacità di offrire i nostri prodotti e la nostra terra. Questo è il momento in cui ci vuole l’apporto di tutti, è il momento di rinnovare le cariche amministrative perché troppo lontane dall’essere esempio di buon investimento e soprattutto c’è bisogno di unità nelle scelte della politica del sostegno al lavoro, all’impresa, all’economia e ad ogni iniziativa. C’è bisogno che tutti diano una mano e che tutti facciano un passo indietro per dare a Bompietro la possibilità di fare un bel salto verso la vita. C’è bisogno di dialogo ed è indispensabile non porre veti o ostacoli in una strada che potrebbe essere tutta in discesa a beneficio della collettività. Gli uomini di buone capacità hanno il dovere di trovare il coraggio per ritornare ad essere volano per la rinascita di Bompietro. Questa potrebbe essere l’ultima fermata utile.

Lettera del presidente cinese Hu Jintao a Richard Gere, Beppe Grillo, Nancy Pelosi e altri.



“Ritengo di grande importanza che i leader che influenzano l’opinione pubblica, come voi siete, conoscano la verità sul Tibet. L’antica città di Lhasa è ricoperta da decorazioni di gala con bandiere rosse al vento nella piazza Potala e il fiume Yarlung Zambo gorgoglia deliziosamente. Noi membri della delegazione del Governo Centrale, insieme ai quadri e alla gente di tutti i gruppi etnici tibetani, stiamo tenendo questa grande celebrazione per rimarcare il 57 anniversario della pacifica liberazione del Tibet con gioia e esultanza. 57 anni fa, il Comitato Centrale CPC e il compagno Mao Zedong, avendo correttamente valutato la situazione, hanno preso una previdente, risoluta e significativa decisione politica di liberare pacificamente il Tibet. Il Governo Centrale del Popolo e il precedente Governo locale del Tibet firmarono l’ “Accordo sulle Misure per una Pacifica Liberazione del Tibet”. La liberazione pacifica del Tibet è stata uno degli eventi più importanti nella Storia moderna della Cina e un punto di svolta epocale per lo sviluppo del Tibet. Simbolizza che il Tibet, una volta per sempre, si è liberato dalla schiavitù dell’aggressione imperialista e che la grande unità della nazione Cinese e la sua grande volontà di riunificazione sono entrati in un nuovo periodo di sviluppo. Ci ha introdotto in una nuova era in cui il Tibet passa dal buio alla luce, dall’arretratezza al progresso, dalla povertà all’abbondanza, dall’isolamento all’apertura. Durante gli ultimi 57 anni, il Tibet ha fatto un balzo in avanti nello sviluppo storico di sistemi sociali per camminare nella via del socialismo. Con l’abolizione della servitù feudale, sotto la quale il popolo tibetano è stato a lungo soffocato e sfruttato, milioni di servi di allora, che non avevano neppure i minimi diritti umani, si sono ora alzati in piedi e sono diventati padroni delle loro vite. Oggi tutti i gruppi etnici godono pienamente dei diritti politici, economici, culturali e di altri ancora con un controllo completo del loro destino. Durante gli ultimi 57 anni, il Tibet ha fatto sostanziali progressi nel suo sviluppo economico, e il tenore di vita della gente è migliorato significativamente. Attraverso riforme democratiche, trasformazioni socialiste e aperture, le forze sociali produttive del Tibet si sono emancipate e sviluppate senza precedenti. Durante gli ultimi 57 anni, la civilizzazione spirituale socialista in Tibet è stata fermamente diffusa e la società si è sviluppata in ogni aspetto. Iniziative nell’educazione, scientifiche, tecnologiche, nella salute pubblica e altre di indirizzo sociale sono state sviluppate vigorosamente. Le popolazioni di tutti i gruppi etnici in Tibet hanno in generale aumentato la consapevolezza politica, più alti standard etici e livelli scientifici e di educazione. La meravigliosa tradizionale cultura in Tibet non solo è stata protetta, ereditata e trasmessa, ma anche sostanziata per riflettere la nuova vita delle persone e andare incontro alle nuove richieste di sviluppo sociale. Durante gli ultimi 57 anni, la solidarietà tra tutti i gruppi etnici in Tibet è stata costantemente rinforzata ed è stata mantenuta la stabilità sociale nel suo complesso. La libertà religiosa del popolo è stata pienamente rispettata e protetta. Tutti i gruppi etnici hanno lavorato in unità e hanno avuto successo nel mettere in luce le attività separatiste e distruttive della cricca del Dalai e delle forze contrarie alla Cina, e così salvaguardando la stabilità in Tibet e l’unità nazionale e la sicurezza dello Stato. Il corso di questi 57 anni di tempeste e vicissitudini ha portato alla luce una grande verità: soltanto sotto la guida del Partito Comunista Cinese, solo nell’abbraccio della madrepatria e solo mantenendo la via socialista con le caratteristiche cinesi, il Tibet può godere oggi della prosperità e del progresso e pensare a un domani persino migliore. Questa è la nostra più importante conclusione dopo 57 anni di sviluppo del Tibet e anche il principio fondamentale da seguire nella costruzione e nello sviluppo del Tibet nei giorni che verranno. Il Tibet è una bella regione, riccamente dotata, della nostra grande madrepatria. La gente industriosa e di talento di tutti i gruppi etnici del Tibet ha, in un lungo storico sviluppo, dato contributi eccezionali alla creazione di una cultura gloriosa della nazione Cinese e di una civiltà multi etnica. Nell’ultimo mezzo secolo, in particolare, il popolo tibetano ha scritto brillanti capitoli nello sviluppo e nel progresso del Tibet e ha aggiunto nuova gloria alla grande famiglia della nostra madrepatria socialista. Io sono orgoglioso di invitarvi personalmente a Pechino per i Giochi Olimpici. Sarà una grande opportunità per vedere insieme i progressi e lo sviluppo della Cina. Grazie.” Hu Jintao

mercoledì 14 maggio 2008

Discorso del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi alla Camera dei Deputati il 13 maggio 2008

Signor Presidente
Onorevoli colleghi
Il lavoro che ci aspetta per ridare fiducia e slancio all’Italia richiede ottimismo e spirito di missione. Gli elettori hanno raccolto e premiato il nostro comune appello a rendere più chiaro, più efficiente e controllabile il governo del Paese. Hanno ridotto drasticamente la frammentazione politica e hanno scelto con nettezza una maggioranza di governo e una opposizione, ciascuna con le proprie idee e passioni, ciascuna con la propria leadership. Il voto è stato un messaggio univoco alla classe dirigente, è stato la prima grande riforma di tante altre che sono necessarie.
Gli italiani hanno preso la parola. Hanno messo a tacere con la loro voce sovrana il pessimismo rumoroso di chi non ama l’Italia e non crede nel suo futuro. Hanno respinto insidiose campagne di sfiducia astensionista o di protesta qualunquista e hanno partecipato generosamente al momento più alto di una democrazia liberale moderna. E hanno detto: noi vi mettiamo in grado di risollevare il Paese, sta a voi non deluderci.
Dividetevi, hanno detto i cittadini, ma non ostacolatevi slealmente. Combattetevi anche, ma non in nome di vecchie ideologie. Prendete democraticamente le decisioni necessarie a risalire la china, rispettate il dissenso e tutelate le minoranze, che si esprimono dentro e fuori del Parlamento, ma dateci stabilità e impegno nell’azione di governo.
Fate uno sforzo comune perché chi governa e chi esercita il controllo parlamentare sul governo possano fare, ciascuno nel suo ambito, il proprio mestiere. Fate funzionare le istituzioni della Repubblica, ci hanno ordinato gli elettori, riducete l’area della vanità e della cosiddetta visibilità della politica dei partiti, realizzate quanto avete promesso di realizzare, e realizzatelo in fretta. Perché una cosa è sicura: l’Italia non ha più tempo da perdere.
Nella società italiana è maturata una nuova consapevolezza, dopo anni difficili e per certi aspetti tormentati. Si respira un nuovo clima, che si esprime nella nuova composizione delle Camere chiamate oggi a discutere della fiducia al governo. La parte maggiore dell’opposizione ha creato un suo strumento di osservazione e di interlocuzione con il governo: il gabinetto ombra di tradizione anglosassone, che può essere d’aiuto nel fissare i termini della discussione, del dissenso e delle eventuali convergenze parlamentari, in particolare sulle urgenti e ben note modifiche da apportare al funzionamento del sistema politico e costituzionale. L’aspirazione generale è che un confronto di idee e di interessi anche severo, anche rigoroso, non generi nuove risse ma una consultazione alla luce del sole, un dialogo concreto e trasparente, e poi scelte e decisioni ferme che abbiano riguardo esclusivamente agli interessi del Paese.
Il Capo dello Stato ha definito in maniera impeccabile, citando l’opera e il pensiero di quel grande liberale che fu Luigi Einaudi, i termini della dialettica tra le istituzioni, e in particolare tra la presidenza della Repubblica e la guida del governo.
Tutte le condizioni sono riunite perché il Parlamento recuperi per intero la fiducia dei cittadini, lavorando seriamente e a pieno ritmo.
Il Paese non ci chiede compromessi al ribasso, confabulazioni segrete o mercanteggiamenti, ci spinge invece ad assumerci ciascuno la nostra parte di responsabilità con un metodo e una cultura che mettano il rispetto al posto della faziosità, che mettano una polemica vivace al posto della guerriglia paralizzante, che mettano la bellezza della politica capace di cambiare le cose e di migliorarle al posto della demagogia, del chiacchiericcio, del teatrino e dell’inganno.
Noi faremo la parte che un forte consenso democratico ci ha assegnato. Non abbiamo promesso miracoli, ma intendiamo realizzare piccole e grandi cose. Partiremo da interventi di alto valore, insieme simbolico e concreto, come quelli che definiremo nel prossimo Consiglio dei Ministri che terremo a Napoli.
Punto primo. Lo scandalo dei rifiuti non smaltiti deve finire e finirà.
Nessun grande Paese può convivere a lungo con una simile ferita al suo ambiente, all’igiene pubblica e al prestigio della sua immagine dentro e fuori i confini della nazione.
Punto secondo. La casa è un bene primario intorno al quale prendono radici l’identità familiare, la capacità lavorativa e la stessa identità sociale stabile dei cittadini, e la tassazione sulla prima casa va definitivamente cancellata.
Punto terzo. Il reddito di chi lavora va sostenuto anche dalla fiscalità generale, soprattutto in una fase in cui il divario tra prezzi e potere d’acquisto dei salari e degli stipendi si è fatto in certi casi intollerabile, e chi si impegna a lavorare di più e a contribuire alla competitività delle imprese va incoraggiato con una sensibile detassazione dei suoi guadagni.
Punto quarto. La sicurezza della vita quotidiana deve essere pienamente ristabilita con norme di diritto e comportamenti preventivi e repressivi delle forze dell’ordine che siano in grado di riaffermare la sovranità della legge sul territorio dello Stato.
Noi non cavalchiamo la paura, al contrario: noi vogliamo liberare dalla paura i cittadini, e in particolare le donne e gli anziani. Coloro che sollevano obiezioni di merito ragionevoli saranno ascoltati, ma sbaglia gravemente chi nega la prima regola di una grammatica della democrazia: questa regola dice che la sicurezza è un sinonimo della libertà, e che è proprio sulla tutela della sicurezza individuale che si fondano il patto di unione dei cittadini e la stessa legittimazione del potere pubblico.
Signor Presidente
Onorevoli colleghi
Non mi attarderò sul lungo elenco delle cose da fare. E non ripeterò punto per punto gli impegni del programma: lo abbiamo presentato agli elettori e quella sarà, giorno dopo giorno, l’agenda per l’azione di governo. Non vi annoierò perciò con lunghi e pomposi discorsi di carattere settoriale. Avremo modo di confrontarci spesso in Parlamento nell’immediato futuro, e i ministri del governo che ho l’onore di presiedere sono a disposizione delle Commissioni Permanenti per ogni genere di chiarimenti.
Vorrei piuttosto collegare tutti i temi cruciali che abbiamo di fronte, anche al di là dei primi adempimenti di cui ho già parlato, alla vera grande questione che può determinare una svolta dal pessimismo paralizzante che circola oggi a quel vitale ottimismo e a quello spirito di missione comune di cui ho parlato all’inizio. Questo Paese deve rialzarsi, nel senso che ha tutte le potenzialità per rimettersi rapidamente in corsa e per tagliare il traguardo decisivo di un nuovo tempo della Repubblica: il tempo della crescita.
Il problema principale del nostro Paese è di ricominciare a crescere dopo una lunga fase, e deludente, di riduzione delle prestazioni del nostro sistema economico e sociale. La crescita non è solo un parametro economico, è un metro di misura del progresso civile di una nazione. Crescere non significa soltanto produrre più ricchezza e mettersi in condizione di redistribuirla meglio attraverso quel circolo virtuoso di responsabilità e di libertà che un mercato ben regolato può garantire.
Crescere significa anche rilanciare il Paese e i suoi talenti, significa formare nuove generazioni di lavoratori altamente qualificati, significa dare una “frustata” vitale alla ricerca e all’istruzione, significa ricominciare a padroneggiare il proprio destino senza lasciare indietro nessuno.
Crescere vuol dire ascoltare il grido di dolore che si leva dal nord e dai suoi standard europei di lavoro e di produzione, vuol dire incentivare forme di autogoverno federalista indispensabili a un’evoluzione unitaria della Repubblica, a partire dal federalismo fiscale solidale.
Crescere significa promuovere il sud del Paese considerandolo come una formidabile risorsa per lo sviluppo e sradicare il peso delle cattive abitudini e della criminalità organizzata, la vera nemica della libertà, della sicurezza e del futuro del Mezzogiorno italiano, a vantaggio della libera creatività e della voglia di fare di tante intelligenze e volontà di cui sono ricche le regioni meridionali.
Crescere significa rinnovare il paesaggio delle nostre infrastrutture, significa tornare ad essere un sistema di convenienze per gli investimenti degli altri paesi del mondo, significa fornire a tutti gli italiani un nuovo potere di conoscenza e di uso delle tecnologie, significa ringiovanire l’Italia e farla uscire dal rischio della denatalità.
Crescere significa promuovere la famiglia come nucleo di spinta dell’intera organizzazione sociale, significa dare alle donne nel lavoro e negli altri ruoli sociali, un sostegno per la loro autonomia, significa rimuovere le cause materiali dell’aborto e varare un grande piano nazionale per la vita e per la tutela dell’infanzia, destinando nuove e consistenti risorse al fine di incrementare lo sviluppo demografico.
Crescere vuol dire aumentare la nostra capacità di scambio con il resto del mondo, vuol dire assorbire e integrare con ordine e saggezza le migrazioni interne ed esterne alla comunità di paesi europei di cui facciamo parte, senza lasciarci penetrare da un senso oggi avvertibile di sconfitta e di chiusura di fronte alle difficoltà e ai rischi dell’immigrazione selvaggia e non regolata, e restando padroni in casa nostra ma fieri dell’antico spirito di accoglienza e dell’antica capacità di integrazione del nostro popolo.
Crescere vuol dire esportare le nostre capacità, salvaguardare il posto delle nostre imprese nei mercati, crescere vuol dire aprire e modernizzare la mentalità con cui affrontiamo i problemi della salute, del benessere, della battaglia per una seria e non retorica tutela dell’ambiente, i problemi della cultura e della preziosa eredità di esperienza, di pensiero e di vita che abbiamo alle spalle e che è garanzia del nostro futuro.
Crescere vuol dire rivalutare il lavoro, renderlo più sicuro e qualificato, vuol dire fare subito e bene tutto ciò che è necessario per mettere fine alla infinita, dolorosa e inaccettabile teoria delle morti bianche.
Crescere vuol dire contrastare la rassegnazione ad alcune forme di precariato particolarmente instabili e penalizzanti, ma senza ripararci nella logica del posto fisso e mal pagato, dell’immobilità sociale, della pigrizia educativa, della tolleranza verso forme abusive di mancato impegno nella realizzazione del lavoro come vocazione e come missione nella vita personale, particolarmente in alcuni settori della pubblica amministrazione.
Per crescere dobbiamo affrontare una situazione difficile dei mercati finanziari, sfruttando la posizione di relativo vantaggio del nostro sistema bancario e chiedendo agli istituti di credito uno sforzo comune, uno sforzo aperto alla giovane impresa, alle giovani famiglie, al popolo dei consumatori e dei risparmiatori, per rendere sempre più libera, sempre più coraggiosa e orientata verso la promozione degli utenti e dei consumatori la grande rete dell’economia italiana.
Dobbiamo fare una politica estera e di cooperazione allo sviluppo che sia idonea ad assicurare la capacità contrattuale del nostro sistema nel turbolento mercato delle materie prime, senza mai rinunciare a far sentire e a far pesare la nostra voce in Europa e nel mondo.
Dobbiamo anche impedire, attraverso una tutela non protezionistica dei nostri interessi, che forme sleali di concorrenza stravolgano il mercato globalizzato e ledano gli interessi dei lavoratori italiani e della classe media, interessi che siamo chiamati a difendere con intelligenza e con lungimiranza.
Dobbiamo tenere i conti in ordine, ridurre il peso del debito pubblico in proporzione al fatturato del Paese. Dobbiamo accrescere la volontà e la capacità di contrastare l’evasione fiscale, ristabilendo però il principio liberale secondo il quale le tasse non sono “belle in sé” e neppure un tributo moralistico al potere indiscusso dello Stato. Le imposte sono il corrispettivo che i cittadini devono allo Stato per i servizi che ricevono e sono quindi il presupposto e la garanzia del buon funzionamento dei servizi pubblici e la tutela di un equilibrio sociale responsabile, mai punitivo verso chi produce la ricchezza da ridistribuire con equità.
Dobbiamo contrastare il calo di competitività del sistema economico mettendo l’insieme del Paese che lavora e produce al passo con quelle splendide imprese italiane che si sono ristrutturate in questi anni, che hanno affrontato le sfide competitive della globalizzazione e della liberalizzazione dei mercati con animo intrepido e con successo, con inventiva, con amore per il lavoro ben fatto.
Dobbiamo colpire i corporativismi e le chiusure difensive che in passato hanno tutelato soltanto i bisogni castali di un sistema assistenziale e dirigista che non ha fiducia nella libertà e nell’autonomia della società.
Dobbiamo risolvere positivamente, contemperando l’interesse nazionale e le regole del mercato, una rilevante questione industriale come la crisi dell’Alitalia, senza svendere e senza rinazionalizzare, facendo appello al contributo decisivo della finanza e dell’impresa italiane, che hanno tutto da guadagnare e niente da perdere da un Paese più moderno ed efficiente, e da un sistema di infrastrutture e di trasporti adeguato ai bisogni e al rango della nostra economia.
La crescita della prosperità e del ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo, nel segno della responsabilità occidentale e della ricerca di vie credibili alla pace, saranno la bussola della nostra politica come Paese fondatore del progetto europeo, come grande nazione mediterranea naturalmente chiamata alla cooperazione tra le due sponde del nostro mare, e come pilastro dell’amicizia tra Europa e Stati Uniti d’America.
Solo un Paese in crescita, che dia segnali chiari di uno slancio e di un metodo nuovi per affermare la sua presenza sulla scena mondiale, può rinsaldare le proprie ambizioni, può sostenere le imprese di pacificazione e di promozione della libertà in cui sono impegnati migliaia di soldati italiani nel mondo, di cui siamo orgogliosi e a cui il Parlamento Italiano manda ancora una volta il suo ringraziamento più forte e più sentito. Soltanto un Paese in crescita può impegnarsi in una tessitura diplomatica multilaterale che avrà nell’Europa uscita dal trattato istituzionale appena varato a Lisbona il suo motore e il suo spazio di azione.
E’ nostro vitale interesse ridurre i focolai di tensione in medio oriente e contribuire alla più strenua difesa dell’esistenza e dell’identità storica di Israele, il cui diritto alla pace si specchia nel diritto indiscutibile dei palestinesi alla costruzione di uno Stato indipendente e di una democrazia capace di sradicare ogni forma di intolleranza fondamentalista e di violenza.
Signor Presidente
Onorevoli colleghi
La riforma dettata dal voto del 13 e del 14 di aprile ha lineamenti che ai miei occhi, e non solo ai miei occhi, risultano chiarissimi.
Innanzitutto nuova moralità nella politica e contrasto fermo e deciso nella piena unità civile del Paese nei confronti della criminalità organizzata.
Riduzione di ogni forma di privilegio indebito e lotta a ogni forma di spreco del denaro pubblico.
Efficienza nella spesa, riduzione del costo della pubblica amministrazione e moderazione nelle pretese fiscali dello Stato, che deve riuscire a semplificare e ridurre, sensibilmente e gradualmente, la pressione delle imposte sull’apparato produttivo e sui redditi familiari.
Sicurezza dei cittadini e affermazione di una giustizia che abbia risorse e personale adatti a un moderno Stato di diritto. E qui il mio pensiero, riconoscente, il nostro pensiero va alle Forze dell’Ordine e ai tanti magistrati che compiono in silenzio il proprio dovere.
Per realizzare questo progetto di riscatto e di rilancio occorre che una volontà comune proceda a modifiche istituzionali che oggi, dopo la lunga fase di divisione del passato, sono sostanzialmente condivise da una larga maggioranza in questo Parlamento.
L’elenco è noto, e un lavoro comune di definizione legislativa è stato già fruttuosamente compiuto. Il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo e della sua guida, contestuale a un robusto incremento della capacità di controllo delle assemblee elettive, anche attraverso modifiche dei regolamenti parlamentari.
La diminuzione sensibile del numero degli eletti e la definizione di compiti diversi per le due Camere.
Un assetto federalista dello Stato che superi le difficoltà incontrate con la riforma del titolo V della Costituzione.
Una riconsiderazione attenta e condivisa della legge elettorale, anche nella prospettiva del referendum pendente per la prossima primavera.
Noi siamo a disposizione, noi siamo pronti.
Il dialogo può e deve cominciare da subito, non appena il governo sarà nel pieno possesso delle sue attribuzioni, all’indomani del voto di fiducia che vi chiediamo e che ci attendiamo da voi. Nessuno deve sentirsi escluso.
Nella mia ormai consistente esperienza della vita pubblica e politica, seguita agli anni spesi nell’impegno di costruire impresa e ricchezza sociale, ho avuto qualche delusione e molte soddisfazioni. Non sono e non sono mai stato un uomo solo al comando. Ho sempre avuto fortissimo il senso della squadra, delle relazioni personali all’insegna della gentilezza e del garbo che sono i veri giacimenti culturali dell’identità italiana, all’insegna della solidarietà e della compattezza di un lavoro tipicamente collettivo com’è quello di guidare lo Stato. Ho sempre cercato di mostrare e di praticare, anche quando su di me soffiava il vento dell’acrimonia personale e la bufera della faziosità, il massimo possibile di rispetto per gli avversari politici.
Non solo intendo continuare in questo sforzo, qualche volta fallito forse anche per una mia stanchezza o disattenzione, ma vorrei che questa disponibilità divenisse una regola, una buona, nuova regola della politica italiana. Non per sopire, non per troncare, non per ottundere il dibattito democratico e il confronto civile, e talvolta anche lo strappo radicale, ma per preservare istituzioni e popolo dalla litigiosità inutile, da quel senso di vacuità e di monotona ripetitività che delegittima la politica agli occhi della stragrande maggioranza degli italiani.
Con tutti i difetti della prima Repubblica, una volta in Parlamento si era capaci di recitare i sonetti di Guido Cavalcanti per rafforzare un argomento, si era abili nel giocare di fioretto un attimo dopo aver tirato sciabolate, e illustri padri costituenti sapevano temperare le asprezze della guerra fredda con l’ironia, persino con l’umorismo comunque con quel reciproco riconoscimento di valore senza il quale non esiste una vera classe dirigente.
Lo scontro per così dire “antropologico”, tra diverse classi di umanità che si ritengono incomponibili e irriducibili, è ormai alle nostre spalle, deve restare alle nostre spalle.
Abbiamo finalmente realizzato l’alternanza di forze diverse alla guida del governo, sottomettendoci alla logica del consenso e imparando con fatica che la Repubblica, i luoghi della sua memoria, i simboli della sua storia, sono patrimonio comune di tutti gli italiani, anche di quelli che si sono battuti per molti anni da parti opposte della barricata della storia.
Facciamo tesoro di questa aria nuova, respiriamola a pieni polmoni. Se un governo è messo in grado di decidere, nel rispetto del mandato che gli hanno conferito gli elettori, non ha interesse a comportarsi in modo invasivo, a considerare colleghi e avversari come nemici.
Se un’opposizione non trova intralci alla sua delicata funzione di controllo, se è messa in grado di costruire un suo progetto alternativo, non avrà interesse alcuno a mostrare un profilo negativo e muscolare in modo sistematico e irriflessivo, trasformando in cattiva propaganda la buona politica.
Le sfide, signor Presidente, cari colleghi, sono sempre anche delle scommesse, degli azzardi. E ad aiutare tutti noi, invochiamo l’aiuto di Dio. Speriamo anche di avere fortuna. Ma la fortuna, lo sappiamo bene, non viene incontro a chi fa vita pubblica se non è incoraggiata, invitata con pazienza, forse anche sedotta e ammaliata da una buona dose di coraggio e di virtù.
Con forte responsabilità ma anche con grande gioia per il compito che gli italiani ci hanno affidato, auguro sinceramente buon lavoro a noi del governo e della maggioranza e a voi tutti colleghi dell’opposizione.
E auguro a chi ci ascolta fuori da quest’aula di ritrovare l’orgoglio di sentirsi italiani, la fiducia in questa Nazione e l’amore per le nostre cento città. Auguro a tutti gli italiani di riprovare e condividere l’ammirazione che un’Italia in robusta ripresa e in corsa per i suoi primati saprà suscitare in futuro intorno a sé.
Vi ringrazio, viva il Parlamento, viva l’Italia!

domenica 11 maggio 2008

LE AMMINISTRATIVE A BOMPIETRO: ECCO I PRIMI PRETENDENTI

Dopo quasi quattro anni e mezzo di amministrazione Alleri e ad otto mesi dalle elezioni amministrative è ufficialmente iniziata la corsa alla poltrona di Sindaco di Bompietro. Diversi sono gli aspiranti che si stanno preparando ad occupare il posto d’onore di Palazzo Gangi. Ma quanti di questi hanno le carte in regola per occupare lo scranno di primo cittadino? E soprattutto, chi possiede le giuste caratteristiche per diventare Sindaco? In questo periodo abbiamo visto cominciare il grande movimento di coloro che essendo promotori di qualcuno cominciano a tessere le trame per affermare che l’uno è più idoneo dell’altro e mentre questi discutono, si affannano e cercano le mosse giuste per imporre il loro candidato i veri aspiranti continuano a nascondersi e a far finta di niente. Questo è il momento che mi piace di più. È il momento in cui tutti coloro che per qualsiasi motivo sono delusi, insoddisfatti o risentiti cominciano a mostrarsi in pubblico per quello che sono manifestando così il loro stato d'animo, penso ai tecnici, agli operatori professionali, alle imprese; poi ci sono coloro che fanno finta di essere delusi o insoddisfatti semplicemente per cercare di essere tenuti in considerazione nel momento in cui si assegneranno poltrone o responsabilità. Comincia, quindi, la rincorsa del Professore Luciano Di Gangi che, negli ultimi 25 anni non ha mai fatto mistero di voler ridiventare Sindaco, iniziando a tessere le sue fila forte del costante sostegno del medico condotto, del comandante dei vigili urbani e del responsabile dell’ufficio anagrafe del comune. Rincorsa intrapresa anche dall'ex Sindaco l'Ing. Giuseppe Geraci e da un suo ex amministratore degli anni 90 il geometra Di Gangi Carmelo che rappresenta una parte dell’attuale minoranza, da ultimo, almeno per il momento, c’è il naturale riproponimento dell’attuale Sindaco Alleri Francesco. Ma vediamo meglio chi sono i primi aspiranti a diventare Sindaco. Di Gangi Luciano, pensionato ex insegnante di educazione fisica attualmente è (co)titolare di un centro di fisioknesiterapia, Presidente del Consiglio comunale anche se non rappresenta più la maggioranza in consiglio essendo appoggiato solo da due degli altri sei consiglieri eletti. Il Luciano Di Gangi è già stato Sindaco di Bompietro nel periodo in cui iniziò quella azione politica che poi venne definita come “la grande onda socialista” poi giustamente fermata dal movimento culturale dell’inizio anni 90 sfociato nell’indagine giudiziaria che è stata definita “Mani pulite”. Per chi non ricorda “mani pulite” è stata una indagine giudiziaria contro la corruzione del mondo politico e finanziario condotta a livello nazionale in Italia negli anni Novanta. Le conseguenze legate all’indagine contribuirono alla fine della cosiddetta Prima Repubblica e alla scomparsa dei principali partiti di governo, come la Democrazia Cristiana (DC) e il Partito Socialista Italiano (PSI). Il sistema di corruzione che fu scoperto da queste indagini fu chiamato Tangentopoli. Ma tornando al Professore c’è da dire che nel corso della sua vita politica si è sempre contraddistinto per le incomprensibili iniziative intraprese che hanno portato all’impossibilità di amministrare e quindi al commissariamento e alle denuncie che, in una comunità piccola come la nostra, hanno finito per coinvolgere oltre misura le famiglie e le amicizie facendo così divenire l’interesse per il bene comune motivo di sospetto per loschi interessi. In poche parole per Lui non c’è nessuno meglio di Lui e, quando sono gli altri ad esserci, tanto peggio tanto meglio. Il Geometra Di Gangi Carmelo, dipendente della Banca Mediolanum ha avuto un passato politico come Assessore della Giunta comunale guidata dall’Ing. Geraci nel periodo 1993 – 2002, nelle passate elezioni non è stato eletto consigliere comunale nelle fila della minoranza. Altro candidato risulta essere l’Ing. Geraci Giuseppe, già Sindaco del Comune di Bompietro nel periodo dal dicembre 1993 al maggio 2002 eletto nelle fila del Movimento Pro Bompietro - l'Altra Campana. Movimento che nel corso delle due legislature ha riportato la politica al centro della vita sociale ponendo verso ciascun cittadino, sia esso cittadino-dipendente, cittadino-professionista, cittadino-impresa, cittadino-investitore, cittadino–anziano–giovane–inoccupato-disoccupato, cittadino bisognoso, la giusta attenzione per cercare di risolvere le diverse problematiche che si presentavano dando a ciascuno la giusta dignità personale, sociale, morale e culturale in ogni momento dell’azione politica attuata. Questa Amministrazione ha sicuramente portato il progresso a Bompietro. Ha portato il progresso semplicemente perché ha portato la pubblica illuminazione nelle vie dove prima non c’era, ha portato le fognature che prima mancavano, ha portato l’acqua ogni giorno e tutto l’anno dove prima arrivava una volta ogni 15 o trenta giorni, ha provveduto alla progettazione e alla realizzazione di opere e strutture che nessuno osava sognare: l’arredo urbano di Bompietro e Locati, l’area attrezzata di bompietro, il parco sub-urbano, il campo sportivo, il Piano Regolatore Generale e i relativi Piani Particolareggiati, il recupero del logorato tessuto sociale; ha portato la politica a contatto diretto con il cittadino. Ha fatto sì che si realizzasse un sogno: Il Metano! E mentre ancora oggi i Comuni di Gangi, Petralia Sottana e Soprana, Polizzi Generosa, Geraci Siculo e Castellana Sicula non possiedono il gas metano i bompietrini grazie all’AMMINISTRAZIONE GERACI per primi lo usano per riscaldare le loro giornate nelle proprie abitazione e nei loro luoghi di lavoro oltre che per preparare le quotidiane vivande da più di un decennio. Questi sono i tre di cui se ne conoscono le ambizioni ed altri ancora più o meno noti si proporranno più avanti. Sarà uno di questi tre a sostituire l'attuale Sindaco?

domenica 4 maggio 2008

LOCATI NELL’UNIVERSO INTERNET

Anche Locati è protagonista in internet. I Locatesi sfruttano, come tutti gli e-naviganti, gli strumenti e la tecnologia virtuale per diffondere e promo–pubblicizzare eventi di ogni genere, prodotti, servizi, tradizioni, curiosità, ricorrenze, momenti di svago. Così capita che durante una scampagnata a qualcuno venga in mente di sfidare i carboni ardenti (guarda il video) http://www.youtube.com/watch?v=iVKOtdVZGUA , ovvero qualcuno si improvvisa mago e sfida le leggi della natura: sfidare l’orticaria per dimostrare che non punge (guarda il video) http://www.youtube.com/watch?v=SBjQMo7WL_8&feature=related . Ma credo che mai a nessuno fosse venuto in mente di promuovere se stesso come Santo e in particolare come San Calogero Statale. Per potere comprendere come si può pensare di essere “santo” bisogna prima riflette su un particolare non secondario. Si sa che le feste vissute in armonia e soprattutto partecipate da un nutrito e ben assortito numero di giovani dediti a celebrare il cibo, olive – formaggio – castrato – maiale – stigliole - patate ‘nturrati – cipuddetti – carciofi, ecc. e ad esaltare la bontà del vino, bianco - rosso – verde – giallo, non importa il colore ma semplicemente che sia buono e se poi costoro sono ben disposti a nutrirsi abbondantemente e a tracannare svariate brocche di vino ripetendo tali azioni finché i fumi del vino e la pesantezza del vitto cominciano a prendere il sopravvento sulla comunità presente. Bene allora si può capire cosa può portare un uomo a eleggersi a santo. Eleggersi a santo e farsi portare in processione. Guarda il video http://www.youtube.com/watch?v=ooTDINhAvEo&feature=user . Ma anche questo è folklore, divertimento e sano svago.

giovedì 1 maggio 2008

Il discorso d'insediamento del Presidente della Camera dei Deputati On.le Fini Gianfranco

Seduta del 30 aprile 2008
Onorevoli colleghi, è con autentica e penso comprensibile emozione che mi rivolgo a voi per un doveroso indirizzo di saluto in apertura della XVI legislatura. Ringrazio quanti mi hanno espresso la loro fiducia e, con pari sincerità, quanti non lo hanno fatto per logici e più che naturali motivi politici. Come i più recenti tra i miei predecessori, gli onorevoli Bertinotti, Casini e Violante, che saluto, sono anch'io un uomo di parte fortemente convinto della bontà dei valori che hanno ispirato il mio impegno politico. Ho, tuttavia, ben chiaro che il primo dovere dell'alta carica istituzionale cui mi avete chiamato è quello del rigoroso rispetto del principio di assoluta parità di diritti tra tutti i deputati nell'espletare, nella democratica dialettica tra maggioranza e minoranza, le prerogative che sono attribuite ai parlamentari dalla nostra Costituzione. Al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che della Costituzione è il supremo e imparziale garante, rivolgo un doveroso quanto sincero e particolare saluto. Con sentimenti di rispetto e stima mi rivolgo al Presidente e all'intera Corte costituzionale, al neo Presidente del Senato, senatore Schifani, con cui sono certo di una proficua collaborazione istituzionale, al segretario generale e a tutti i funzionari e i dipendenti della Camera dei deputati. Un deferente omaggio lo rivolgo al pontefice Benedetto XVI, guida spirituale della larghissima maggioranza del popolo italiano e indiscussa autorità morale per il mondo intero, come dimostrato anche dal suo recente, mirabile discorso all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. La laicità delle istituzioni è principio irrinunciabile della nostra come di ogni moderna democrazia parlamentare ed è proprio nel nome di tale principio che il Parlamento deve saper riconoscere il ruolo fondamentale che nell'arco dei secoli la religione cristiana ha avuto e ha tuttora nella formazione e nella difesa della identità culturale della nostra patria, della nazione italiana, nazione di cui è simbolo la bandiera tricolore esposta in quest'Aula e alla quale rendo omaggio. È in essa che si riconosce il nostro popolo, le donne e gli uomini che vivono all'interno dei confini della Repubblica, come i nostri connazionali residenti all'estero, che per la seconda volta hanno eletto i loro rappresentanti in Parlamento. È al nostro popolo, a coloro che il 13 e 14 aprile hanno esercitato il diritto di voto, così come a coloro che legittimamente si sono astenuti dal farlo, che la Camera dei deputati deve avvertire in via prioritaria il dovere di rispondere del suo operato. La credibilità e l'efficienza delle istituzioni rappresentano la risposta più alta, e proprio per questo più difficile, al rischio della disaffezione e della disistima nei confronti del sistema politico e della democrazia rappresentativa. Credibilità significa nutrire la forte consapevolezza che spetta innanzitutto a noi, a chi ha il privilegio di sedere in quest'Aula, l'onere di dimostrare che i deputati non sono una casta di cittadini privilegiati. Ciò sarà possibile solo con la forza incontrovertibile dei fatti. Fin d'ora chiedo a ognuno di voi, onorevoli colleghi, collaborazione e sostegno per far sì che la Camera dei deputati sia un buon esempio per tutti gli italiani in materia di trasparenza interna, corretto utilizzo del denaro del contribuente, riduzione delle spese, valorizzazione dei meriti e delle capacità. Efficienza delle istituzioni significa riforme. Sarebbe sbagliato, perché non corrispondente al vero, affermare che nulla è stato fatto. Più volte, nelle passate legislature, la Costituzione è stata cambiata, anche nella prima parte. Non siamo all'anno zero, eppure spero di interpretare il sentimento di tutta l'Assemblea affermando, come ha fatto ieri anche il Presidente del Senato Schifani, che la XVI legislatura dovrà essere per davvero una legislatura costituente. Le sfide del tempo in cui viviamo, a proposito della qualità della democrazia, esigono, infatti, una risposta che metta la società civile in condizione di avvalersi di istituzioni più snelle ed efficienti di quelle attuali. La modernizzazione del sistema Italia deve necessariamente riguardare anche il nostro assetto politico-costituzionale. Nella passata legislatura la Commissione affari costituzionali di questa Camera ha messo a punto una proposta, ampiamente condivisa, per superare il cosiddetto bicameralismo perfetto, per rafforzare con equilibrio il ruolo dell'esecutivo e il potere di indirizzo e di controllo del Parlamento, per realizzare un federalismo unitario e solidale. Mi auguro che da essa si possa ripartire in questa legislatura per definire una nuova architettura costituzionale che faccia della nostra democrazia una democrazia più rappresentativa e più governante. La ricorrente contrapposizione tra i problemi e le aspirazioni del nord del Paese e quelli del meridione deve essere sanata unicamente nel nome di un autentico interesse nazionale. Ed è certamente interesse di tutti gli italiani, al di là di dove essi risiedono, avere istituzioni che siano per davvero al servizio dei cittadini, ne tutelino i diritti e ne valorizzino le capacità, istituzioni nazionali ed europee, perché sempre di più nell'epoca della globalizzazione economica con le opportunità ed i pericoli che essa comporta si deve avvertire la necessità di una politica comune dei popoli e degli Stati del vecchio continente. A tale riguardo, è mio vivo auspicio che il futuro Governo invii sollecitamente alle Camere il disegno di legge di ratifica del nuovo Trattato europeo di Lisbona, perché l'Italia, Paese fondatore dell'Unione, deve esercitare anche in questa occasione un deciso ruolo di impulso e di stimolo. Onorevoli colleghi, anche questa legislatura si apre a cavallo tra due ricorrenze di alto valore ideale e politico: il 25 aprile ed il 1° maggio. Celebrare la ritrovata libertà del nostro popolo e la centralità del lavoro nell'economia è un dovere cui nessuno si può sottrarre, specie se vogliamo vivere il 25 aprile e il 1° maggio come giornate in cui si onorano valori autenticamente condivisi e avvertiti come vivi e vitali da tutti gli italiani e, in particolar modo, dai più giovani. Negli ultimi anni molti passi avanti nella giusta direzione sono stati compiuti e dalla quasi totalità delle forze politiche. Coloro che si ostinano ad erigere steccati di odio o a negare le infamie dei totalitarismi sono pochi, quanto isolati nella coscienza civile degli italiani. La ricostruzione di una memoria condivisa, una sincera pacificazione nazionale nel rispetto della verità storica tra i vincitori e i vinti sono traguardi ormai raggiunti anche per il nobile e coraggioso impegno profuso, in stagioni politicamente diverse, da due Presidenti della Repubblica che voglio salutare e ringraziare: Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi. Eppure, penso che sia tuttora di grande significato politico e morale rammentare il valore insostituibile della libertà, bene supremo per ogni essere umano, precondizione per ogni democrazia, e penso sia lecito domandarsi se ancora oggi - sessantatré anni dopo la liberazione - la nostra libertà corra pericoli e sia davvero minacciata. Spero non meravigli se alla domanda mi sento di rispondere affermativamente, se ritengo che la Camera dei deputati debba essere consapevole che un'insidia per la nostra libertà e, di conseguenza, per la nostra democrazia a mio avviso esiste tuttora. La minaccia non viene di certo dalle ideologie antidemocratiche del secolo scorso, che sono ormai sepolte con il Novecento che le ha generate. I rischi per la nostra libertà sono oggi di tutt'altra natura. L'insidia maggiore viene dal diffuso e crescente relativismo culturale, dalla errata convinzione che libertà significhi assoluta pienezza di diritti e pressoché totale assenza di doveri e finanche di regole. La libertà è minacciata nello stesso momento in cui - come sta avvenendo per alcune questioni - nel suo nome si teorizza una presunta impossibilità di definire ciò che è giusto e ciò che non lo è. Essere consapevoli di questo pericolo e sventarlo è dovere primario della politica, se davvero vuole onorare il suo primato. Ed è compito delle istituzioni ed in primis del Parlamento riconoscere e valorizzare il ruolo centrale che, nella difesa della libertà autenticamente intesa, hanno l'educazione dei giovani e la diffusione del sapere. È nella famiglia e nella scuola, luoghi dove si formano i cittadini di domani, che nasce, cresce e si diffonde l'ideale della libertà, un ideale che va difeso quotidianamente da un altro pericolo: la progressiva perdita di autorevolezza dello Stato, l'affievolirsi del principio di legalità, l'aleatorietà del diritto alla giustizia, specie in sede civile, il conseguente diffondersi di un senso di insicurezza tra i cittadini, fenomeni che sono la spia di un malessere della democrazia che riguarda l'intero Occidente, che in Italia non sono più acuti che altrove, che non devono indurre a presagire la disgregazione della coesione sociale, ma che sono comunque presenti in misura tale da imporre alle istituzioni il dovere di contrastarli. Sono certo che la Camera dei deputati, nel confronto tra le diverse posizioni culturali e politiche e, sempre e comunque, nel pieno rispetto del dettato costituzionale, vorrà e saprà farlo. È con questo fermo convincimento, che desidero rivolgermi - per rendere omaggio al loro impegno e per ricordare quanti sono caduti nell'adempimento del loro dovere - a tutte le donne e a tutti gli uomini che servono lo Stato.Penso in primo luogo alla magistratura di ogni ordine e grado e agli appartenenti alle forze dell'ordine. È a loro che si deve la certezza che l'azione dello Stato sia sostenuta da leggi giuste varate da un Parlamento democratico. L'azione dello Stato è sempre e comunque più forte di tutte le mafie, di ogni illegalità e abuso, di qualsivoglia prevaricazione e lesione dei diritti del cittadino. Analogamente si deve alle nostre Forze armate, cui parimenti rivolgo un grato saluto, se il terrorismo internazionale ha avuto la riprova che la libertà e la pace sono valori per la cui difesa e affermazione l'Italia è in prima linea, come dimostra il coraggio, l'umanità e, purtroppo, il sacrificio dei nostri soldati impegnati nelle missioni internazionali. Onorevoli colleghi, naturale corollario in termini ideali della festa della libertà è la festa del lavoro. È infatti solo il pieno esercizio del diritto del nostro popolo di lavorare e generare ricchezza che può liberare l'economia dalle secche della stagnazione ed è solo il diritto di ogni cittadino ad avere un lavoro dignitoso ed equamente retribuito che può liberare le famiglie dal bisogno e dal timore dell'emarginazione sociale. Come garantire effettiva concordia tra capitale e lavoro, come aumentare la produzione della ricchezza nazionale, come ridistribuirla in modo equo, secondo le capacità ed i bisogni di ognuno, è ormai interrogativo che riguarda l'intera politica europea chiamata, anche su questo versante, a confrontarsi con il tramonto delle ideologie classiste e vetero-liberiste del Novecento e sempre più obbligata a rispondere alla sfida epocale della globalizzazione dei mercati. Mi auguro che anche su queste questioni, che si riflettono sulla qualità della vita quotidiana degli italiani, la Camera dei deputati sappia, nel confronto fra Governo e opposizione, fornire risposte capaci di rafforzare la credibilità delle istituzioni e fare imboccare al Paese la via della ripresa economica, dello sviluppo, della giustizia sociale. Sono altresì certo che tutte le deputate e tutti i deputati, senza distinzione di appartenenza politica, avvertano oggi l'imperativo morale del massimo impegno per garantire che il diritto al lavoro possa essere esercitato in condizioni di sicurezza. La perdurante tragedia delle cosiddette «morti bianche» offende la coscienza di ognuno, non può e non deve essere considerata come ineluttabile, deve generare uno sforzo comune a tutte le istituzioni perché ad essa si ponga rapidamente fine. Onorevoli colleghi, l'ultima breve considerazione che desidero rivolgervi è relativa alla cosiddetta «diplomazia parlamentare» avviata e sviluppata dai miei predecessori. Ritengo che la Camera dei deputati debba continuare ad avvalersene per rafforzare il dialogo con altre Assemblee legislative e in particolare con quelle dei Paesi del Mediterraneo. Sulle sponde del mare nostrum sono nate e si sono diffuse le tre grandi religioni monoteistiche. Per secoli il Mediterraneo è stato l'epicentro del pianeta, luogo di fecondi scambi culturali e commerciali, e teatro di guerre sanguinose tra popoli di cultura e di religione diversa. Oggi è specie nel Mediterraneo che il rapporto tra la cultura ebraico-cristiana dell'Occidente e l'Islam può svilupparsi positivamente, nel segno del reciproco rispetto tra identità diverse, o può precipitare nel baratro di quello scontro tra civiltà, non a caso evocato e invocato dagli integralismi. Ed è altresì di tutta evidenza che è indispensabile saper guardare a ciò che accade nel Mediterraneo anche per affrontare le pressanti questioni poste dai massicci fenomeni migratori in atto e per dar vita ad effettive politiche di integrazione. Sono certo che il nostro Parlamento, che nel 2010 assumerà la presidenza di turno dell'Assemblea euromediterranea, saprà farlo e che di grande rilievo sarà il contributo fornito dalla Camera dei deputati. Vi ringrazio per l'attenzione con cui mi avete ascoltato. A tutte le deputate e ai deputati, in particolar modo a chi ieri è entrato per la prima volta in quest'Aula, un sincero augurio di buon lavoro. Viva l'Italia, viva la Camera dei deputati.

Discorso di insediamento del Presidente del Senato della Repubblica Sen. Schifani Renato

Seduta del 29 aprile 2008
Onorevoli senatrici, onorevoli senatori, l'alta responsabilità che avete voluto affidarmi mi onora e mi emoziona profondamente. Voglio per questo porgere un sentito ringraziamento a tutti voi. Desidero in primo luogo rivolgere a nome dell'Assemblea dei senatori e mio personale un saluto deferente al Capo dello Stato, presidente Giorgio Napolitano, supremo garante della Costituzione e dell'equilibrio delle istituzioni. Le sue doti di saggezza e la sua ferma cultura istituzionale sapranno essere, come lo sono state, una guida ed un valore.
Un saluto particolare rivolgo ai Presidenti emeriti della Repubblica ed ai senatori a vita. Permettetemi altresì di esprimere anche il mio ringraziamento al presidente Marini. In questi anni ho potuto apprezzare le doti di equilibrio e la capacità di includere in un comune percorso tutte le componenti parlamentari, nella consapevolezza che di questa condivisa partecipazione e non già dell'opposizione sterile e preconcetta la democrazia si nutre. Questo riconoscimento è frutto della mia esperienza di Presidente di un Gruppo di opposizione nella precedente legislatura durante la quale ne ho più volte dato atto. Così come non posso dimenticare la correttezza e la compostezza nei miei confronti con il Capogruppo di maggioranza, senatrice Anna Finocchiaro, con il quale ho avuto sempre un confronto corretto.
Mi preme sottolineare quanto senta alta la responsabilità del ruolo che da questo momento assumo e gli anni trascorsi in quest'Aula mi hanno insegnato quanta sensibilità occorra per guidare i lavori del Senato della Repubblica. Si avvia una gestione che nelle aspettative appare densa di obiettivi da raggiungere, aspettative sulle quali il Senato dovrà impegnarsi perché i risultati corrispondano alle esigenze del Paese. Quanto al mio compito, io mi impegno ad adempierlo con il massimo scrupolo di garante delle regole, dei diritti dell'opposizione, della maggioranza e delle esigenze del Governo. Essere il garante sarà la missione principale da me più volte sentita in questa funzione.
So che dovrò assumere le ragioni di tutti e prima ancora il bene supremo dell'Assise che sono chiamato a presiedere, nella piena consapevolezza che dal concorso di tutti e nella salvaguardia di ruoli e posizioni politiche, etiche ed ideologiche dovrà avere luogo anche la necessaria riscrittura delle regole. Questo sarà uno degli elementi fondanti di questa legislatura che si apre, durante la quale è indispensabile che si sappia conservare e preservare il valore della reciproca legittimazione delle parti emerso sul finire della scorsa legislatura in occasione dell'apertura del dialogo sulla legge elettorale.
Questa reciproca legittimazione rafforza il Parlamento, consente a maggioranza e opposizione di operare per l'ottenimento del bene più importante, cioè la crescita del nostro Paese e l'affermazione dei valori della Costituzione repubblicana di cui quest'anno abbiamo celebrato il sessantesimo anniversario della sua entrata in vigore. In quella Carta c'è la nostra storia, il nostro passato, le nostre speranze, il nostro futuro. C'è il dolore di una guerra atroce e c'è la rinascita dalle macerie che ha spinto le generazioni che ci hanno preceduto a ricostruire mattone per mattone, pezzo per pezzo, il nostro Paese. E c'è anche l'attenzione costante da tenere verso il nostro valore più alto e più sacro: la libertà. È questo che ci rende uguali alle grandi democrazie, dove la contrapposizione fra differenti aree politiche, avversarie, ma non nemiche, consente ai cittadini di credere che nelle scelte riformiste, di cui anche nel nostro Paese si avverte oggi la necessità, la politica sappia ritrovare la necessaria maturità.
L'avvenuta semplificazione del quadro politico potrà aiutare la stabilità e potrà aprire, in tempi brevi, una feconda stagione di riforme condivise. La riduzione dei Gruppi parlamentari potrà rappresentare una significa facilitazione dei lavori di questa Aula e delle Commissioni. Quella maturità dovrà essere la fonte primaria per alimentare la capacità di ascolto che le forze politiche oggi rappresentate in Parlamento dovranno esercitare per farsi interpreti di tutte le esigenze del Paese, comprese quelle delle minoranze oggi non più presenti. Questo per la politica è un valore ed è uno degli elementi idonei a ricollocarla al suo posto ambito: non a destra, al centro o a sinistra, ma in alto, dove al di là delle democratiche competizioni elettorali e dei suoi esiti è possibile confrontarsi, ciascuno con la propria sensibilità, per il bene comune.
Questa semplificazione ne richiama un'altra: quella del linguaggio, della comunicazione politica con la quale «il Palazzo» non deve più parlare a sé stesso e per sé stesso, ma ai cittadini. Questo attuale tempo della politica ci offre una straordinaria opportunità. Sta a noi coglierla.Quella che ci aspetta sarà la stagione delle riforme, ma anche dell'affermazione della legalità come valore irrinunciabile. Legalità e sicurezza sono le richieste più pressanti che vengono dalla gente, dal Nord al Sud. Insieme infatti all'azione di contrasto a tutte le mafie, occorre intensificare e migliorare le strategie per combattere quella dilagante criminalità che sta rendendo invivibili ampie aree del nostro Paese. Si tratta di un problema che va affrontato con la necessaria attenzione perché serie e fondate sono le preoccupazioni dei cittadini anche in ordine alla relazione tra una parte significativa dei reati commessi e l'immigrazione clandestina di soggetti con pesanti storie criminali. Abbiamo il dovere, pertanto, di non sottovalutare questi aspetti, agendo con rigore e severità ove occorre, senza dimenticare la grande tradizione di tolleranza e accoglienza che dobbiamo conservare nei confronti di quella immigrazione sana e regolare che ha, invece, bisogno del nostro aiuto. Sono inoltre fermamente convinto che la lotta a tutte le mafie non dovrà avere, ma neanche mostrare, alcuna pausa. Su questo fronte il Parlamento ha legiferato proficuamente, stabilizzando il 41-bis (il cosiddetto carcere duro) ed ha sostenuto magistratura e polizia giudiziaria in quella fruttuosa opera che da sette anni ad oggi ha consentito la cattura di pericolosi latitanti ai vertici della criminalità organizzata, recidendo molti rami della mala pianta del racket delle estorsioni.Permettetemi di soffermarmi su questo punto. Da siciliano, infatti, sento forte la necessità di un impegno crescente per la sicurezza e per l'affermazione dei valori di legalità perché ho vissuto, insieme a tutti gli altri siciliani, il dolore di vedere la mia terra ferita, vessata, umiliata e, insieme, l'orgoglio di vedere una Sicilia che non s'è mai piegata né mai data per vinta e che è stata capace, invece, di rialzarsi e gridare il suo rifiuto alla violenza, alla prepotenza, all'illegalità. Ed è di grande conforto vedere come nella società emergano e si moltiplichino le scelte virtuose e coraggiose di cittadini e categorie che, a viso aperto, si oppongono alle vessazioni della criminalità organizzata.Ma non è solo sulla necessità di una maggiore sicurezza che Nord e Sud del nostro Paese ci chiedono un forte impegno. L'esistenza di una questione meridionale e di una questione settentrionale appare ormai acclarata, pur nella differenza tra le due aree del Paese, e richiede interventi importanti per superare il divario tra Nord e Sud e per consentire di proseguire un percorso virtuoso di crescita che sia contestuale, se non vogliamo un Paese a due velocità. Il settentrione ha confermato di essere il cuore produttivo del Paese, crescendo nell'efficienza del sistema, integrandosi agli standard europei, ma mostrando un crescente bisogno di maggiore efficienza dello Stato e della pubblica amministrazione. Il Mezzogiorno, dal canto suo, ha dimostrato in questi anni di saper trovare la capacità di promuovere uno sviluppo fondato sulle proprie risorse, rifiutando l'assistenzialismo, le prebende e pretendendo invece interventi in favore delle infrastrutture e delle imprese. Soltanto conciliando le esigenze e rispondendo alle istanze delle due aree del nostro Paese, ed impegnandoci con forza e convinzione per tessere quell'indispensabile legame forte tra Nord e Sud, sapremo onorare quell'unità d'Italia così fortemente voluta e di cui, durante questa legislatura che ci si apre, nel 2011 celebreremo insieme i 150 anni di vita.Assistiamo oggi ad un rinnovato amore dei cittadini verso il proprio Paese, verso la nostra patria. Le sempre più presenti espressioni politiche che ne mettono in evidenza i caratteri regionali e territoriali non fanno altro che esaltarne le diversità nell'unità, le ricchezze nazionali e nello stesso tempo le necessità locali.La nostra è sempre stata una terra di grandi talenti, dove sono nati ed hanno operato geni che hanno fatto la storia dell'umanità. Dobbiamo dunque rafforzare nel mondo l'immagine di un'Italia che produce, che crea, che esporta, che è orgogliosa della propria storia e delle proprie tradizioni e che, davanti alle difficoltà, sa reagire con determinazione. Lo dimostrano le decine di migliaia di imprenditori che, nonostante le oggettive difficoltà della congiuntura internazionale, riescono a tenere testa alla sfida globale. Dobbiamo difendere senza tentennamenti le nostre radici cristiane, la nostra identità che tanto ha contribuito alla nascita dell'occidente e della nostra civiltà. Dimenticare le proprie radici significa perdere l'anima, non ritrovare più se stessi, non trovare più le ragioni forti dell'appartenenza che ci permettono di accogliere e dialogare con gli altri senza cedimenti e senza ipocrisie. L'occidente, l'Europa e l'Italia o ritornano alle proprie radici o sono destinati ad un irreversibile tramonto. Siamo chiamati dunque a tenere alto il nome ed il prestigio dell'Italia, sia nel contesto dell'Europa unita, di cui siamo stati fin dall'inizio fondatori, sia nel contesto internazionale, attraverso il saldo rapporto atlantico ed il ruolo geo-politico nella grande area del mediterraneo. Il nostro Paese deve ribadire sempre di più al mondo il suo ruolo di portatore di pace e di democrazia. Sulla concreta solidarietà democratica ai Paesi in difficoltà l'Italia sta offrendo un contributo di altissimo valore. Ha il merito, che nasce da un dovere umanitario, delle missioni di pace che sotto l'egida dell'ONU contribuiscono all'impianto di servizi umanitari e spesso all'avviamento di nuove democrazie. Seguiamo con ammirazione e partecipazione l'operato dei nostri uomini impegnati in questi rischiosi territori e a loro va la nostra sincera gratitudine. Il nostro pensiero gratissimo e commosso va anche a coloro che hanno sacrificato la vita per l'umanità in nome dell'Italia e dei suoi valori: ai ragazzi di Nassiriya e agli altri che, come loro, hanno scritto il loro nome nel Pantheon degli eroi della pace. È un ricordo, quello di questi uomini caduti per la pace, che rimane indissolubilmente congiunto ad un altro: al ricordo della compostezza con cui i loro cari hanno vissuto la loro tragedia familiare. È stata una vera, indimenticabile lezione per tutti.Voglio rivolgere un pensiero a quegli eroi civili della lotta alla mafia che, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, hanno donato la loro intelligenza e la loro vita: tanti, troppi caduti tra magistrati, uomini delle Forze dell'ordine, giornalisti, imprenditori ai quali ci inchiniamo, riconoscenti e debitori. Di grande consolazione e certo non di rassegnazione appare a tutti l'evidente spinta che li ha mossi a difendere i nostri valori più importanti, quella cioè di preservare dalla violenza e dalla oppressione criminale il nostro futuro, il futuro dei nostri figli. È proprio a loro, ai giovani, a quelli cui siamo chiamati a consegnare un'Italia più florida e più sana che voglio dedicare il mio pensiero conclusivo. Ai giovani chiediamo di guardare alla politica e alla forza delle istituzioni, perché alle loro istanze, che sappiamo essere prioritariamente la casa, il lavoro e la cultura, risponderemo con l'impegno e l'ausilio necessario di tutte le forze politiche. La nostra saggezza - se c'è - vale come testimonianza e patrimonio per la loro audacia, il loro entusiasmo e la loro fiducia. Siamo chiamati a sostenerli nel percorso che li porta a diventare adulti e a svolgere i ruoli che oggi noi svolgiamo. Soltanto se avremo le carte in regola, se avremo fatto quanto dovuto e quanto necessario, potremo guardarli negli occhi e vedere rispecchiato il nostro Paese, la nostra Italia.Viva il Senato, viva l'Italia!