mercoledì 10 dicembre 2008

Agli amici che non riconosco più

C’era una volta…… Quante volte abbiamo sentito nonni, genitori, parenti, amici iniziare a raccontare una favola, un evento, un proprio vissuto o altro ancora con queste semplici parole. C’era una volta, bastano queste parole a far capire a qualsiasi bambino che si sta iniziando a raccontargli una favola, una bellissima favola fatta di principi e principesse, di streghe cattive e draghi dove nel conflitto tra il bene e il male, l’amore e l’odio, l’invidia e il compiacimento a trionfare è il bene, l’amore, il compiacimento.
C’era una volta……. Sentire queste parole nell’età adulta fa capire subito che bisogna ricordare qualcosa che non esiste più, qualcosa che non si ripete più come prima, qualcosa che è stata dimenticata o peggio ancora, riposta in un anfratto della nostra vita proprio per far sì che niente ne faccia ripetere l’evento. Non importa se al tempo del conflitto tra il drago e il cavaliere, la fata e la strega, il principe e il tiranno si indossavano i panni del drago o del principe, non importa se si realizzavano pozioni o malefici, non importa se le azioni fossero da cavaliere o da tiranno. Non importa se quel c’era una volta è messo lì per portare all’affermazione del bene sul male. Non importa se la nostra favola di fatto è una panzana.
Non importa, forse perché il male lo si porge gratuitamente? Non importa perché non si vuole ricordare?
Io credo che nella nostra vita tutti abbiamo di che gioire e di che dispiacerci e tutti manifestiamo la nostra gioia o il nostro dispiacimento al ricordo dell’evento che lo ha causato e proprio per questo motivo dobbiamo sapere discernere se il bene che abbiamo ricevuto è il bene individuale o è il bene sociale e la stessa cosa dobbiamo pensare del male. Non credo che la ripicca abbia mai fatto realizzare buone cose o che riscoprire vecchie amicizie, dopo averle voluttuosamente ignorate per anni, porti ad alleanze solide e durature, ma credo al contrario che queste farse non costruiscono niente, non siano sincere alleanze e finiranno con lo sciogliersi sotto il primo raggio di sole, la nostra storia ce lo ricorda.
Non credo che si possa continuare ad operare secondo il principio del tu sì e tu no solo perché così mi và. O che si possa discutere solo per porre veti, perché si finisce per riproporre la stessa disavventura che stiamo vivendo oggi e di cui tutti siamo stanchi. Al contrario c’è bisogno di un confronto onesto e leale tra tutti per dare a tutti la possibilità di enunciare il proposito. Non c’è bisogno di vittimismo per accendersi i riflettori, perché bisognerebbe ricordare una cosa semplicissima: girarsi e guardare indietro. E, dopo averlo fatto ricordare i presenti e gli assenti nell’occasione dell’incendio di Roma. A meno che non vada bene così.

sabato 11 ottobre 2008

Lettera del Santo Padre

LETTERA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II AGLI ANZIANI 1999

Ai miei fratelli e sorelle anziani!
“ Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo ” (Sal 90 [89], 10)
1. Settant'anni erano tanti al tempo in cui il Salmista scriveva queste parole, e non erano in molti ad oltrepassarli; oggi, grazie ai progressi della medicina nonché alle migliorate condizioni sociali ed economiche, in molte regioni del mondo la vita si è notevolmente allungata. Resta, però, sempre vero che gli anni passano in fretta; il dono della vita, nonostante la fatica e il dolore che la segnano, è troppo bello e prezioso perché ce ne possiamo stancare.
Anziano anch'io, ho sentito il desiderio di mettermi in dialogo con voi. E lo faccio anzitutto rendendo grazie a Dio per i doni e le opportunità che mi ha elargito con abbondanza sino ad oggi. Ripercorro nella memoria le tappe della mia esistenza, che s'intreccia con la storia di gran parte di questo secolo, e vedo affiorare i volti di innumerevoli persone, alcune delle quali particolarmente care: sono ricordi di eventi ordinari e straordinari, di momenti lieti e di vicende segnate dalla sofferenza. Sopra ogni cosa, tuttavia, vedo stendersi la mano provvidente e misericordiosa di Dio Padre, il quale “ cura nel modo migliore tutto ciò che esiste ”,(1) e “ qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà egli ci ascolta ” (1 Gv 5, 14). A Lui dico con il Salmista: “ Tu mi hai istruito, o Dio, fin dalla giovinezza e ancora oggi proclamo i tuoi prodigi. E ora, nella vecchiaia e nella canizie, Dio, non abbandonarmi, finché io annunzi la tua potenza, a tutte le generazioni le tue meraviglie ” (Sal 71 [70], 17-18).
Il mio pensiero si volge con affetto a tutti voi, carissimi anziani di ogni lingua e cultura. Vi indirizzo questa lettera nell'anno che l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha voluto opportunamente dedicare agli anziani, per richiamare l'attenzione dell'intera società sulla situazione di chi, per il peso dell'età, deve spesso affrontare molteplici e difficili problemi.
Su questo tema già il Pontificio Consiglio per i Laici ha offerto preziose linee di riflessione.(2) Con la presente lettera intendo soltanto esprimervi la mia vicinanza spirituale con l'animo di chi, anno dopo anno, sente crescere dentro di sé una comprensione sempre più profonda di questa fase della vita ed avverte conseguentemente il bisogno di un contatto più immediato con i suoi coetanei per ragionare di cose che sono esperienza comune, tutto ponendo sotto lo sguardo di Dio, che ci avvolge col suo amore e con la sua provvidenza ci sostiene e ci conduce.
2. Carissimi fratelli e sorelle, riandare al passato per tentare una sorta di bilancio è spontaneo alla nostra età. Questo sguardo retrospettivo consente una valutazione più serena ed oggettiva di persone e situazioni incontrate lungo il cammino. Il passare del tempo sfuma i contorni delle vicende e ne addolcisce i risvolti dolorosi. Purtroppo crucci e tribolazioni sono largamente presenti nell'esistenza di ciascuno. Talvolta si tratta di problemi e sofferenze, che mettono a dura prova la resistenza psicofisica e magari scuotono la stessa fede. L'esperienza però insegna che le stesse pene quotidiane, con la grazia del Signore, contribuiscono spesso alla maturazione delle persone, temprandone il carattere.
Al di là delle singole vicende, la riflessione che maggiormente s'impone è quella relativa al tempo che scorre inesorabile. “ Il tempo fugge irrimediabilmente ”, sentenziava già l'antico poeta latino.(3) L'uomo è immerso nel tempo: in esso nasce, vive e muore. Con la nascita viene fissata una data, la prima della sua vita, e con la morte un'altra, l'ultima: l'alfa e l'omega, l'inizio e la fine della sua vicenda terrena, come la tradizione cristiana sottolinea, scolpendo queste lettere dell'alfabeto greco sulle lapidi delle tombe.
Ma se così misurata e fragile è l'esistenza di ciascuno di noi, ci conforta il pensiero che, in forza dell'anima spirituale, sopravviviamo alla morte stessa. La fede poi ci apre ad una “ speranza che non delude ” (cfr Rm 5, 5), additandoci la prospettiva della risurrezione finale. Non per nulla la Chiesa, nella solenne Veglia pasquale, usa queste stesse lettere in riferimento a Cristo vivo ieri, oggi e sempre: “ Egli è il principio e la fine, è l'alfa e l'omega. A lui appartengono il tempo e i secoli ”.(4) La vicenda umana, pur soggetta al tempo, viene posta da Cristo nell'orizzonte dell'immortalità. Egli “ si è fatto uomo tra gli uomini, per unire il principio alla fine, cioè l'uomo a Dio ”.(5)
Un secolo complesso
verso un futuro di speranza
3. Rivolgendomi agli anziani, so di parlare a persone e di persone che hanno compiuto un lungo percorso (cfr Sap 4, 13). Parlo ai miei coetanei; posso, dunque, facilmente cercare un'analogia nella mia vicenda personale. La nostra vita, cari fratelli e sorelle, è stata inscritta dalla Provvidenza in questo ventesimo secolo, che ha ricevuto una complessa eredità dal passato ed è stato testimone di numerosi e straordinari eventi.
Come tanti altri tempi della storia, esso ha registrato luci ed ombre. Non tutto è stato oscuro. Molti aspetti positivi hanno bilanciato il negativo o sono emersi da esso come una benefica reazione della coscienza collettiva. E vero tuttavia — e sarebbe ingiusto quanto pericoloso dimenticarlo! — che ci sono state inaudite sofferenze, che hanno inciso sulla vita di milioni e milioni di persone. Basterebbe pensare ai conflitti esplosi in diversi continenti in seguito a contese territoriali fra Stati o all'odio interetnico. Non meno gravi sono da considerare le condizioni di estrema povertà di ampie fasce sociali nel Sud del mondo, il vergognoso fenomeno della discriminazione razziale e la sistematica violazione dei diritti umani in molte nazioni. E che dire poi dei grandi conflitti mondiali?
Nella prima parte del secolo ce ne furono ben due, con una quantità mai prima conosciuta di morti e distruzioni. La prima guerra mondiale mieté milioni di soldati e di civili, stroncando tante vite umane sul limitare dell'adolescenza o, addirittura, dell'infanzia. E che dire della seconda guerra mondiale? Sopravvenuta dopo pochi decenni di relativa pace nel mondo, specialmente in Europa, fu più tragica della precedente, con conseguenze immani per la vita delle nazioni e dei continenti. Fu guerra totale, inaudita mobilitazione dell'odio, che si abbatté brutalmente anche sulle inermi popolazioni civili e distrusse intere generazioni. Il tributo pagato sui vari fronti alla follia bellica fu incalcolabile e altrettanto terrificante fu l'eccidio consumato nei campi di sterminio, veri Golgota dell'epoca contemporanea.
Sulla seconda metà del secolo è pesato, per diversi anni, l'incubo della guerra fredda, del confronto cioè tra i due grandi blocchi ideologici contrapposti, l'Est e l'Ovest, con una folle corsa agli armamenti e la costante minaccia di una guerra atomica, capace di condurre l'umanità all'estinzione.(6) Grazie a Dio, quella pagina oscura si è chiusa con la caduta in Europa dei regimi totalitari oppressivi, come frutto di una lotta pacifica, che s'è avvalsa dell'uso delle armi della verità e della giustizia.(7) Si è così avviato un faticoso, ma proficuo processo di dialogo e di riconciliazione, teso ad instaurare una più serena e solidale convivenza fra i popoli.
Ma troppe nazioni sono ancora ben lontane dal conoscere i benefici della pace e della libertà. Grande trepidazione ha suscitato nei mesi scorsi il violento conflitto scoppiato nella regione dei Balcani, teatro già negli anni precedenti di una terribile guerra a sfondo etnico: altro sangue è stato versato, altre distruzioni si sono avute, altro odio è stato alimentato. Ora, che finalmente il furore delle armi s'è placato, si comincia a pensare alla ricostruzione nella prospettiva del nuovo millennio. Ma intanto continuano a divampare, anche in altri continenti, molteplici focolai di guerra, talvolta con massacri e violenze troppo presto dimenticati dalle cronache.
4. Se questi ricordi e queste attualità dolorose ci rattristano, non possiamo dimenticare che il nostro secolo ha visto levarsi all'orizzonte molteplici segnali positivi, che costituiscono altrettante risorse di speranza per il terzo millennio. E cresciuta così — pur tra tante contraddizioni, specie sul versante del rispetto della vita di ogni essere umano — la coscienza dei diritti umani universali, proclamati in solenni dichiarazioni che impegnano i popoli.
Si è venuto, altresì, sviluppando il senso del diritto dei popoli ad auto-governarsi nel quadro di rapporti nazionali e internazionali ispirati alla valorizzazione delle identità culturali e insieme al rispetto delle minoranze. Il crollo di sistemi totalitari, come quelli dell'Est europeo, ha fatto crescere la percezione universale del valore della democrazia e del libero mercato, pur lasciando l'enorme sfida di coniugare libertà e giustizia sociale.
E pure da considerare un grande dono di Dio che le religioni stiano tentando, con sempre maggior determinazione, un dialogo che le renda elemento fondamentale di pace e di unità per il mondo.
E che dire poi della crescita, nella coscienza comune, del riconoscimento della dignità della donna? C'è indubbiamente ancora molto cammino da percorrere, ma la linea è tracciata. Motivo di speranza è inoltre l'intensificarsi delle comunicazioni che, favorite dall'attuale tecnologia, permettono di superare i confini tradizionali, facendoci sentire cittadini del mondo.
Altro importante campo di maturazione è la nuova sensibilità ecologica, che merita di essere incoraggiata. Fattori di speranza sono anche i grandi progressi della medicina e delle scienze applicate al benessere dell'uomo.
Tanti sono dunque i motivi per i quali dobbiamo ringraziare Dio. Questo scorcio di secolo si presenta, nonostante tutto, con grandi potenzialità di pace e di progresso. Dalle stesse prove attraverso cui è passata la nostra generazione emerge una luce capace di illuminare gli anni della nostra vecchiaia. Risulta così confermato un principio che è caro alla fede cristiana: “ Le tribolazioni non solo non distruggono la speranza, ma ne sono il fondamento ”.(8)
E suggestivo allora che, mentre il secolo ed il millennio si avviano al tramonto e si intravvede già l'alba d'una nuova stagione per l'umanità, noi ci fermiamo a meditare sulla realtà del tempo che scorre via veloce, non per rassegnarci ad un destino inesorabile, ma per valorizzare appieno gli anni che ci restano da vivere.
L'autunno della vita
5. Che cosa è la vecchiaia? Di essa a volte si parla come dell'autunno della vita — lo faceva già Cicerone (9) — seguendo l'analogia suggerita dalle stagioni e dal susseguirsi delle fasi della natura. Basta guardare il variare del paesaggio, lungo il corso dell'anno, sulle montagne e nelle pianure, nei prati, nelle vallate, nei boschi, sugli alberi e sulle piante. C'è una stretta somiglianza tra i bio-ritmi dell'uomo e i cicli della natura, di cui egli è parte.
Allo stesso tempo, però, l'uomo si distingue da ogni altra realtà che lo circonda, perché è persona. Plasmato ad immagine e somiglianza di Dio, egli è soggetto consapevole e responsabile. Anche nella sua dimensione spirituale, tuttavia, egli vive il succedersi di fasi diverse, tutte ugualmente fuggevoli. Sant'Efrem il Siro amava paragonare la vita alle dita di una mano, sia per mettere in evidenza che la sua lunghezza non va oltre quella di una spanna, sia per indicare che, al pari di ciascun dito, ogni fase della vita ha la sua caratteristica, e “ le dita rappresentano i cinque gradini su cui l'uomo avanza ”.(10)
Se, pertanto, l'infanzia e la giovinezza sono il periodo in cui l'essere umano è in formazione, vive proiettato verso il futuro, e, prendendo consapevolezza delle proprie potenzialità, imbastisce progetti per l'età adulta, la vecchiaia non manca dei suoi beni, perché — come osserva san Girolamo — attenuando l'impeto delle passioni, essa “ accresce la sapienza, dà più maturi consigli ”.(11) In un certo senso, è l'epoca privilegiata di quella saggezza che in genere è frutto dell'esperienza, perché “ il tempo è un grande maestro ”.(12) E ben nota, poi la preghiera del Salmista: “ Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore ” (Sal 90 [89], 12).
Gli anziani nella Sacra Scrittura
6. “ La giovinezza e i capelli neri sono un soffio ”, osserva Qoelet (11, 10). La Bibbia non si esime dal richiamare l'attenzione, talora con schietto realismo, sulla caducità della vita e sul tempo che scorre inesorabilmente: “ Vanità delle vanità [...] vanità delle vanità, tutto è vanità ” (Qo 1, 2): chi non conosce il severo ammonimento dell'antico Sapiente? Lo comprendiamo specialmente noi anziani, ammaestrati dall'esperienza.
Nonostante questo disincantato realismo, la Scrittura conserva una visione molto positiva del valore della vita. L'uomo resta sempre fatto a “ immagine di Dio ” (cfr Gn 1, 26) ed ogni età ha la sua bellezza e i suoi compiti. L'età avanzata trova, anzi, nella parola di Dio una grande considerazione al punto che la longevità è vista come segno della benevolenza divina (cfr Gn 11, 10-32). Con Abramo, uomo di cui viene sottolineato il privilegio dell'anzianità, questa benevolenza assume il volto di una promessa: “ Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò ed in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra ” (Gn 12, 2-3). Accanto a lui c'è Sara, la donna che vede il proprio corpo invecchiare, ma che sperimenta nel limite della carne ormai sfiorita la potenza di Dio che supplisce all'umana insufficienza.
Anziano è Mosè, quando Dio gli affida la missione di far uscire il popolo eletto dall'Egitto. Le grandi opere che per mandato del Signore egli compie in favore di Israele non occupano gli anni della giovinezza, ma della vecchiaia. Tra altri esempi offerti da anziani, vorrei citare la vicenda di Tobi, il quale con umiltà e coraggio si impegna ad osservare la legge di Dio, ad aiutare i bisognosi, a sopportare con pazienza la cecità fino a sperimentare l'intervento risolutore dell'angelo di Dio (cfr Tb 3, 16-17); ed ancora quella di Eleazaro, il cui martirio è testimonianza di singolare generosità e fortezza (cfr 2 Mac 6, 18-31).
7. Anche il Nuovo Testamento, pervaso dalla luce di Cristo, annovera eloquenti figure di anziani. Il Vangelo di Luca si apre presentando una coppia di coniugi “ avanti negli anni ” (1, 7): Elisabetta e Zaccaria, genitori di Giovanni Battista. Verso di loro si rivolge la misericordia del Signore (cfr Lc 1, 5-25.39-79): a Zaccaria ormai vecchio viene annunciata la nascita di un figlio. Egli stesso lo sottolinea: “ Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni ” (Lc 1, 18). Durante la visita di Maria, l'anziana cugina Elisabetta, piena di Spirito Santo, esclama: “ Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo ” (Lc 1, 42) ed alla nascita di Giovanni Battista, Zaccaria intona l'inno del Benedictus. Ecco una mirabile coppia di anziani, pervasa da profondo spirito di preghiera.
Nel tempio di Gerusalemme Maria e Giuseppe, che vi hanno portato Gesù per offrirlo al Signore, o piuttosto, secondo la Legge, per riscattarlo come primogenito, incontrano il vecchio Simeone, che a lungo aveva atteso il Messia. Prendendo il Bambino tra le braccia, egli benedice Iddio e prorompe nel Nunc dimittis: “ Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace... ” (Lc 2, 29).
Accanto a lui troviamo Anna, vedova di ottantaquattro anni, frequentatrice assidua del Tempio, che nell'occasione ha la gioia di vedere Gesù. Nota l'Evangelista che “ si mise a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme ” (Lc 2, 38).
Anziano è Nicodemo, stimato componente del Sinedrio. Egli si reca di notte da Gesù per non dare nell'occhio. A lui il divin Maestro rivela di essere il Figlio di Dio, venuto a salvare il mondo (cfr Gv 3, 1-21). Ritroveremo Nicodemo al momento della sepoltura di Cristo, quando, portando una mistura di mirra e di aloe, vincerà la paura e si manifesterà come discepolo del Crocifisso (cfr Gv 19, 38-40). Quali confortanti testimonianze, queste! Ci ricordano come in ogni età il Signore chieda a ciascuno l'apporto dei propri talenti. Il servizio al Vangelo non è questione di età!
E che dire dell'anziano Pietro, chiamato a testimoniare la sua fede con il martirio? Gli aveva detto un giorno Gesù: “ Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi ” (Gv 21, 18). Sono parole che, in quanto successore di Pietro, mi toccano da vicino e mi fanno sentire forte il bisogno di tendere le mani verso quelle di Cristo, in obbedienza al suo comando: “ Seguimi! ” (Gv 21, 19).
8. Il Salmo 92 [91], quasi sintetizzando le fulgide testimonianze di anziani che troviamo nella Bibbia, proclama: “ Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano;... Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunziare quanto è retto il Signore ” (13, 15-16). E l'apostolo Paolo, facendo eco al Salmista, annota nella Lettera a Tito: “ I vecchi siano sobri, dignitosi, assennati, saldi nella fede, nell'amore e nella pazienza. Ugualmente le donne anziane si comportino in maniera degna dei credenti...; sappiano insegnare il bene, per formare le giovani all'amore del marito e dei figli ” (2, 2-5).
La vecchiaia, dunque, alla luce dell'insegnamento e nel lessico proprio della Bibbia, si propone come “ tempo favorevole ” per il compimento dell'umana avventura, e rientra nel disegno divino riguardo ad ogni uomo come tempo in cui tutto converge, perché egli possa meglio cogliere il senso della vita e raggiungere la “ sapienza del cuore ”. “ Vecchiaia veneranda — osserva il Libro della Sapienza — non è la longevità, né si calcola dal numero degli anni; ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza; vera longevità è una vita senza macchia ” (4, 8-9). Essa costituisce la tappa definitiva della maturità umana ed è espressione della benedizione divina.
Custodi di una memoria collettiva
9. Nel passato si nutriva grande rispetto per gli anziani. Scriveva in proposito il poeta latino Ovidio: “ Grande era un tempo la riverenza per il capo canuto ”.(13) Secoli prima, il poeta greco Focilide ammoniva: “ Rispetta i capelli bianchi: rendi al vecchio savio quegli omaggi stessi che tributi a tuo padre ”.(14)
Ed oggi? Se ci soffermiamo ad analizzare la situazione attuale, constatiamo che presso alcuni popoli la vecchiaia è stimata e valorizzata; presso altri, invece, lo è molto meno a causa di una mentalità che pone al primo posto l'utilità immediata e la produttività dell'uomo. Per via di tale atteggiamento, la cosiddetta terza o quarta età è spesso deprezzata, e gli anziani stessi sono indotti a domandarsi se la loro esistenza sia ancora utile.
Si giunge persino a proporre con crescente insistenza l'eutanasia, come soluzione per le situazioni difficili. Il concetto di eutanasia, purtroppo, è venuto perdendo in questi anni per molte persone quella connotazione di orrore che naturalmente suscita negli animi sensibili al rispetto della vita. Certo, può accadere che, nei casi di malattie gravi con sofferenze insopportabili, le persone provate siano tentate di esasperazione e i loro cari o quanti sono preposti alle loro cure possano sentirsi spinti da una malintesa compassione a ritenere ragionevole la soluzione della “ morte dolce ”. A tal proposito, occorre ricordare che la legge morale consente di rinunciare al cosiddetto “ accanimento terapeutico ”,(15) e richiede soltanto quelle cure che rientrano nelle normali esigenze dell'assistenza medica. Ma ben altro è l'eutanasia intesa come diretta provocazione della morte! Malgrado le intenzioni e le circostanze, essa resta un atto intrinsecamente cattivo, una violazione della legge divina, un'offesa alla dignità della persona umana.(16)
10. Urge ricuperare la giusta prospettiva da cui considerare la vita nel suo insieme. E la prospettiva giusta è l'eternità, della quale la vita è preparazione significativa in ogni sua fase. Anche la vecchiaia ha un suo ruolo da svolgere in questo processo di progressiva maturazione dell'essere umano in cammino verso l'eterno. Da questa maturazione non potrà non trarre giovamento lo stesso gruppo sociale di cui l'anziano è parte.
Gli anziani aiutano a guardare alle vicende terrene con più saggezza, perché le vicissitudini li hanno resi esperti e maturi. Essi sono custodi della memoria collettiva, e perciò interpreti privilegiati di quell'insieme di ideali e di valori comuni che reggono e guidano la convivenza sociale. Escluderli è come rifiutare il passato, in cui affondano le radici del presente, in nome di una modernità senza memoria. Gli anziani, grazie alla loro matura esperienza, sono in grado di proporre ai giovani consigli ed ammaestramenti preziosi.
Gli aspetti di fragile umanità, connessi in maniera più visibile con la vecchiaia, diventano in questa luce un richiamo all'interdipendenza ed alla necessaria solidarietà che legano tra loro le generazioni, perché ogni persona è bisognosa dell'altra e si arricchisce dei doni e dei carismi di tutti.
Suonano significative, al riguardo, le considerazioni di un poeta a me caro, che così scrive: “ Non è eterno solo il futuro, non solo!... Sì, anche il passato è l'era dell'eternità: quanto è già successo, non si ripresenterà d'un tratto così com'era... Ritornerà come Idea, non ricomparirà come se stesso ”.(17)
“ Onora il padre e la madre ”
11. Perché allora non continuare a tributare all'anziano quel rispetto che le sane tradizioni di molte culture in ogni continente hanno posto in valore? Per i popoli dell'area raggiunta dall'influsso biblico, il riferimento è stato, nei secoli, il comandamento del Decalogo: “ Onora il padre e la madre ”; un dovere, peraltro, universalmente riconosciuto. Dalla sua piena e coerente applicazione non è scaturito soltanto l'amore per i genitori da parte dei figli, ma è stato anche evidenziato il forte legame che esiste fra le generazioni. Dove il precetto viene accolto e fedelmente osservato, gli anziani sanno di non correre il pericolo di essere considerati un peso inutile ed ingombrante.
Il comandamento insegna, inoltre, a tributare rispetto a coloro che ci hanno preceduto e a quanto hanno operato di bene: “ il padre e la madre ” indicano il passato, il legame tra una generazione e l'altra, la condizione che rende possibile l'esistenza stessa di un popolo. Secondo la duplice redazione proposta dalla Bibbia (cfr Es 20, 2-17; Dt 5, 6-21), questo comando divino occupa il primo posto nella seconda Tavola, quella concernente i doveri dell'essere umano verso se stesso e verso la società. E poi l'unico a cui è legata una promessa: “ Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio ” (Es 20, 12; cfr Dt 5, 16).
12. “ Alzati davanti a chi ha i capelli bianchi, onora la persona del vecchio ” (Lv 19, 32). Onorare gli anziani comporta un triplice dovere verso di loro: l'accoglienza, l'assistenza, la valorizzazione delle loro qualità. In molti ambienti ciò avviene quasi spontaneamente, come per antica consuetudine. Altrove, specialmente nelle nazioni economicamente più progredite, s'impone una doverosa inversione di tendenza, per far sì che coloro che avanzano negli anni possano invecchiare con dignità, senza dover temere di essere ridotti a non contare più nulla. Occorre convincersi che è proprio di una civiltà pienamente umana rispettare e amare gli anziani, perché essi si sentano, nonostante l'affievolirsi delle forze, parte viva della società. Osservava già Cicerone che “ il peso dell'età è più lieve per chi si sente rispettato ed amato dai giovani ”.(18)
Lo spirito umano, del resto, pur partecipando all'invecchiamento del corpo, rimane in un certo senso sempre giovane, se vive rivolto verso l'eterno, e di questa perenne giovinezza fa più viva esperienza, quando all'interiore testimonianza della buona coscienza, si unisce l'affetto premuroso e grato delle persone care. L'uomo, allora, come scrive san Gregorio di Nazianzo, “ non invecchierà nello spirito: accetterà la dissoluzione come il momento stabilito per la necessaria libertà. Dolcemente trasmigrerà nell'aldilà dove nessuno è immaturo o vecchio, ma tutti sono perfetti nell'età spirituale ”.(19)
Tutti conosciamo esempi eloquenti di anziani con una sorprendente giovinezza e vigoria dello spirito. Per chi li avvicina, essi sono di stimolo con le loro parole e di conforto con l'esempio. Possa la società valorizzare appieno gli anziani, che in alcune regioni del mondo — penso in particolare all'Africa — sono stimati giustamente come “ biblioteche viventi ” di saggezza, custodi di un patrimonio inestimabile di testimonianze umane e spirituali. Se è vero che sul piano fisico hanno in genere bisogno di aiuto, è altrettanto vero che, nella loro età avanzata, possono offrire sostegno ai passi dei giovani che si affacciano all'orizzonte dell'esistenza per saggiarne i percorsi.
Mentre parlo degli anziani, non posso non rivolgermi anche ai giovani per invitarli a stare loro accanto. Vi esorto, cari giovani, a farlo con amore e generosità. Gli anziani possono darvi molto di più di quanto possiate immaginare. Il Libro del Siracide in proposito ammonisce: “ Non trascurare i discorsi dei vecchi, perché anch'essi hanno imparato dai loro padri ” (8, 9); “ Frequenta le riunioni degli anziani; qualcuno è saggio? Unisciti a lui ” (6, 34); perché agli anziani “ si addice la sapienza ” (25, 5).
13. La comunità cristiana può ricevere molto dalla serena presenza di chi è avanti negli anni. Penso, soprattutto, all'evangelizzazione: la sua efficacia non dipende principalmente dall'efficienza operativa. In quante famiglie i nipotini ricevono dai nonni i primi rudimenti della fede! Ma sono molti altri i campi a cui può estendersi il benefico apporto degli anziani. Lo Spirito agisce come e dove vuole, servendosi non di rado di vie umane che agli occhi del mondo appaiono di poco conto. Quanti trovano comprensione e conforto in persone anziane, sole o ammalate, ma capaci di infondere coraggio mediante il consiglio amorevole, la silenziosa preghiera, la testimonianza della sofferenza accolta con paziente abbandono! Proprio mentre vengono meno le energie e si riducono le capacità operative, questi nostri fratelli e sorelle diventano più preziosi nel disegno misterioso della Provvidenza.
Anche sotto questo profilo, dunque, oltre che per un'evidente esigenza psicologica dell'anziano stesso, il luogo più naturale per vivere la condizione di anzianità resta quello dell'ambiente in cui egli è “ di casa ”, tra parenti, conoscenti ed amici, e dove può rendere ancora qualche servizio. A mano a mano che, con l'allungamento medio della vita, la fascia degli anziani cresce, diventerà sempre più urgente promuovere questa cultura di una anzianità accolta e valorizzata, non relegata ai margini. L'ideale resta la permanenza dell'anziano in famiglia, con la garanzia di efficaci aiuti sociali rispetto ai bisogni crescenti che l'età o la malattia comportano. Ci sono tuttavia situazioni, in cui le circostanze stesse consigliano o impongono l'ingresso in “ case per anziani ”, perché l'anziano possa godere della compagnia di altre persone e usufruire di un'assistenza specializzata. Tali istituzioni sono pertanto lodevoli, e l'esperienza dice che possono rendere un servizio prezioso, nella misura in cui si ispirano a criteri non solo di efficienza organizzativa, ma anche di affettuosa premura. Tutto è in questo senso più facile, se il rapporto stabilito con i singoli ospiti anziani da parte di familiari, amici, comunità parrocchiali, è tale da aiutarli a sentirsi persone amate e ancora utili per la società. E come non inviare qui un ammirato e grato pensiero alle Congregazioni religiose ed ai gruppi di volontariato, che si dedicano con speciale cura proprio all'assistenza degli anziani, soprattutto di quelli più poveri, abbandonati o in difficoltà?
Carissimi anziani, che vi trovate in precarie condizioni per la salute o per altro, vi sono vicino con affetto. Quando Dio permette la nostra sofferenza a causa della malattia, della solitudine o per altre ragioni connesse con l'età avanzata, ci dà sempre la grazia e la forza perché ci uniamo con più amore al sacrificio del Figlio e partecipiamo con più intensità al suo progetto salvifico. Siamone persuasi: Egli è Padre, un Padre ricco di amore e di misericordia!
Penso in maniera speciale a voi, vedovi e vedove, rimasti soli a percorrere l'ultimo tratto della vita; a voi, religiosi e religiose anziani, che per lunghi anni avete servito fedelmente la causa del Regno dei cieli; a voi, carissimi fratelli nel Sacerdozio e nell'Episcopato, che per raggiunti limiti di età avete lasciato la diretta responsabilità del ministero pastorale. La Chiesa ha ancora bisogno di voi. Essa apprezza i servizi che ancora vi sentite di prestare in molteplici campi di apostolato, conta sul vostro apporto di prolungata preghiera, attende i vostri sperimentati consigli, e si arricchisce della testimonianza evangelica da voi resa giorno dopo giorno.
“ Mi indicherai il sentiero della vita
gioia piena nella tua presenza ” (Sal 16 [15], 11)
14. E naturale che, con il passare degli anni, diventi familiare il pensiero del “ tramonto ”. Se non altro, ce lo ricorda il fatto stesso che le file dei nostri parenti, amici e conoscenti vanno assottigliandosi: ce ne rendiamo conto in varie circostanze, ad esempio quando ci ritroviamo per riunioni di famiglia, per incontri con i nostri compagni d'infanzia, di scuola, di università, di servizio militare, con i nostri colleghi di seminario... Il confine tra la vita e la morte attraversa le nostre comunità e si avvicina a ciascuno di noi inesorabilmente. Se la vita è un pellegrinaggio verso la patria celeste, la vecchiaia è il tempo in cui più naturalmente si guarda alla soglia dell'eternità.
E tuttavia anche noi anziani facciamo fatica a rassegnarci alla prospettiva di questo passaggio. Esso infatti presenta, nella condizione umana segnata dal peccato, una dimensione di oscurità che necessariamente ci intristisce e ci mette paura. E come potrebbe essere diversamente? L'uomo è stato fatto per la vita, mentre la morte — come la Scrittura ci spiega fin dalle prime pagine (cfr Gn 2-3) — non era nel progetto originario di Dio, ma è subentrata in seguito al peccato, frutto dell'“ invidia del diavolo ” (Sap 2, 24). Si comprende dunque perché, di fronte a questa realtà tenebrosa, l'uomo reagisca e si ribelli. E significativo a tal proposito che Gesù stesso, “ provato in ogni cosa come noi escluso il peccato ” (Eb 4, 15), abbia avuto paura di fronte alla morte: “ Padre, se possibile, passi da me questo calice ” (Mt 26, 39). E come dimenticare le sue lacrime davanti alla tomba dell'amico Lazzaro, nonostante che egli si accingesse a risuscitarlo (cfr Gv 11, 35)?
Per quanto la morte sia razionalmente comprensibile sotto il profilo biologico, non è possibile viverla con “ naturalezza ”. Essa contrasta con l'istinto più profondo dell'uomo. Ha detto in proposito il Concilio: “ In faccia alla morte l'enigma della condizione umana diventa sommo. Non solo si affligge, l'uomo, al pensiero dell'avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, ed anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre ”.(20) Certo, il dolore resterebbe inconsolabile, se la morte fosse la distruzione totale, la fine di tutto. La morte costringe perciò l'uomo a porsi le domande radicali sul senso stesso della vita: che c'è oltre il muro d'ombra della morte? Costituisce essa il termine definitivo della vita o esiste qualcosa che l'oltrepassa?
15. Non mancano, nella cultura dell'umanità, dai tempi più antichi ai nostri giorni, risposte riduttive, che limitano la vita a quella che viviamo su questa terra. Nello stesso Antico Testamento, alcune annotazioni nel Libro di Qoelet fanno pensare alla vecchiaia come ad un edificio in demolizione ed alla morte come alla sua totale e definitiva distruzione (cfr 12, 1-7). Ma, proprio alla luce di queste risposte pessimistiche, acquista maggior rilievo la prospettiva piena di speranza, che emana dall'insieme della Rivelazione, e specialmente dal Vangelo: “ Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi ” (Lc 20, 38). Attesta l'apostolo Paolo che il Dio che dà vita ai morti (cfr Rm 4, 17) darà la vita anche ai nostri corpi mortali (cfr ibid., 8, 11). E Gesù afferma di se stesso: “ Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno ” (Gv 11, 25-26).
Cristo, avendo varcato i confini della morte, ha rivelato la vita che sta oltre questo limite in quel “ territorio ” inesplorato dall'uomo che è l'eternità. Egli è il primo Testimone della vita immortale; in Lui la speranza umana si rivela piena di immortalità. “ Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell'immortalità futura ”.(21) A queste parole, che la Liturgia offre ai credenti come conforto nell'ora del commiato da una persona cara, segue un annuncio di speranza: “ Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo ”.(22) In Cristo la morte, realtà drammatica e sconvolgente, viene riscattata e trasformata, fino a manifestare il volto di una “ sorella ” che ci conduce tra le braccia del Padre.(23)
16. La fede illumina così il mistero della morte e infonde serenità alla vecchiaia, non più considerata e vissuta come attesa passiva di un evento distruttivo, ma come promettente approccio al traguardo della maturità piena. Sono anni da vivere con un senso di fiducioso abbandono nelle mani di Dio, Padre provvidente e misericordioso; un periodo da utilizzare in modo creativo in vista di un approfondimento della vita spirituale, mediante l'intensificazione della preghiera e l'impegno di dedizione ai fratelli nella carità.
Sono perciò da lodare tutte quelle iniziative sociali che permettono agli anziani sia di continuare a coltivarsi fisicamente, intellettualmente e nella vita di relazione, sia di rendersi utili, mettendo a disposizione degli altri il proprio tempo, le proprie capacità e la propria esperienza. In questo modo, si conserva ed accresce il gusto della vita, fondamentale dono di Dio. D'altra parte, con tale gusto della vita non contrasta quel desiderio dell'eternità, che matura in quanti fanno un'esperienza spirituale profonda, come ben testimonia la vita dei Santi.
Il Vangelo ci ricorda in proposito le parole del vecchio Simeone, che si dichiara pronto a morire, dal momento che ha potuto stringere tra le sue braccia il Messia atteso: “ Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza ” (Lc 2, 29-30). L'apostolo Paolo si sentiva in certo senso combattuto tra il desiderio di continuare a vivere, per annunciare il Vangelo, e il desiderio di “ essere sciolto dal corpo per essere con Cristo ” (Fil 1, 23). Sant'Ignazio di Antiochia, mentre andava gioioso a subire il martirio, testimoniava di sentire nell'animo la voce dello Spirito Santo, quasi “ acqua ” viva che gli sgorgava dentro e gli sussurrava l'invito: “ Vieni al Padre ”.(24) Gli esempi potrebbero continuare. Essi non gettano alcun'ombra sul valore della vita terrena, che è bella, nonostante limiti e sofferenze, e va vissuta fino in fondo. Ci ricordano però che essa non è il valore ultimo, sicché il tramonto dell'esistenza, nella percezione cristiana, assume i contorni di un “ passaggio ”, di un ponte gettato dalla vita alla vita, tra la gioia fragile e insicura di questa terra e la gioia piena che il Signore riserva ai suoi servi fedeli: “ Entra nella gioia del tuo Signore! ” (Mt 25, 21).
Un augurio di vita
17. In questo spirito, mentre vi auguro, cari fratelli e sorelle anziani, di vivere serenamente gli anni che il Signore ha disposto per ciascuno, mi viene spontaneo parteciparvi fino in fondo i sentimenti che mi animano in questo scorcio della mia vita, dopo più di vent'anni di ministero sul soglio di Pietro, e nell'attesa del terzo millennio ormai alle porte. Nonostante le limitazioni sopraggiunte con l'età, conservo il gusto della vita. Ne ringrazio il Signore. E bello potersi spendere fino alla fine per la causa del Regno di Dio.
Al tempo stesso, trovo una grande pace nel pensare al momento in cui il Signore mi chiamerà: di vita in vita! Per questo mi sale spesso alle labbra, senza alcuna vena di tristezza, una preghiera che il sacerdote recita dopo la celebrazione eucaristica: In hora mortis meae voca me, et iube me venire ad te – nell'ora della morte chiamami, e comanda che io venga a te. E la preghiera della speranza cristiana, che nulla toglie alla letizia dell'ora presente, mentre consegna il futuro alla custodia della divina bontà.
18. “ Iube me venire ad te! ”: è questo l'anelito più profondo del cuore umano, anche in chi non ne è consapevole.
Dacci, o Signore della vita, di prenderne lucida coscienza e di assaporare come un dono, ricco di ulteriori promesse, ogni stagione della nostra vita.
Fa' che accogliamo con amore la tua volontà, ponendoci ogni giorno nelle tue mani misericordiose.
E quando verrà il momento del definitivo “ passaggio ”, concedici di affrontarlo con animo sereno, senza nulla rimpiangere di quanto lasceremo.
Incontrando Te, dopo averti a lungo cercato, ritroveremo infatti ogni valore autentico sperimentato qui sulla terra, insieme con quanti ci hanno preceduto nel segno della fede e della speranza.
E tu, Maria, Madre dell'umanità pellegrina, prega per noi “ adesso e nell'ora della nostra morte ”. Tienici sempre stretti a Gesù, Figlio tuo diletto e nostro fratello, Signore della vita e della gloria.
Amen!
Dal Vaticano, il 1° Ottobre 1999.
GIOVANNI PAOLO II

Note:
(1) S. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione della fede ortodossa, 2, 29.
(2) Cfr La dignità dell'anziano e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, Città del Vaticano 1998.
(3) VIRGILIO, “ Fugit inreparabile tempus ”, Georgiche, III, 284.
(4) Liturgia della Veglia pasquale.
(5) S. IRENEO DI LIONE, Adversus haereses, 4, 20, 4.
(6) Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus, 18.
(7) Cfr ibid., 23.
(8) S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento alla Lettera ai Romani, 9, 2.
(9) Cfr Cato maior, seu De senectute, 19, 70.
(10) Su “ Tutto è vanità e afflizione di spirito ”, 5-6.
(11) “ Auget sapientiam, dat maturiora consilia ”, Commentaria in Amos, 2, prol.
(12) CORNEILLE, Sertorius, a. II, sc. 4, b. 717.
(13) “ Magna fuit quondam capitis reverentia cani ”, Fasti, lib. V, v. 57.
(14) Sentenze, XLII.
(15) Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitae, 65.
(16) Cfr Ibid.
(17) C. NORWID, Nie tylko przyszlosc..., Post scriptum, I, vv. 1-4.
(18) “ Levior fit senectus, eorum qui a iuventute coluntur et diliguntur ”, Cato maior, seu De senectute, 8, 26.
(19) Discorso dopo il ritorno dalla campagna, 11.
(20) CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. Gaudium et spes, 18.
(21) Messale Romano, Io Prefazio dei defunti.
(22) Ibid.
(23) Cfr S. FRANCESCO D'ASSISI, Cantico delle creature.
(24) Lettera ai Romani, 7, 2.

domenica 7 settembre 2008

The American Promise

Denver, 28/08/2008
Il testo del discorso di OBAMA
"The American Promise"
To Chairman Dean and my great friend Dick Durbin; and to all my fellow citizens of this great nation;
With profound gratitude and great humility, I accept your nomination for the presidency of the United States.
Let me express my thanks to the historic slate of candidates who accompanied me on this journey, and especially the one who traveled the farthest - a champion for working Americans and an inspiration to my daughters and to yours -- Hillary Rodham Clinton. To President Clinton, who last night made the case for change as only he can make it; to Ted Kennedy, who embodies the spirit of service; and to the next Vice President of the United States, Joe Biden, I thank you. I am grateful to finish this journey with one of the finest statesmen of our time, a man at ease with everyone from world leaders to the conductors on the Amtrak train he still takes home every night.
To the love of my life, our next First Lady, Michelle Obama, and to Sasha and Malia - I love you so much, and I'm so proud of all of you.
Four years ago, I stood before you and told you my story - of the brief union between a young man from Kenya and a young woman from Kansas who weren't well-off or well-known, but shared a
It is that promise that has always set this country apart - that through hard work and sacrifice, each of us can pursue our individual dreams but still come together as one American family, to ensure that the next generation can pursue their dreams as well.
That's why I stand here tonight. Because for two hundred and thirty two years, at each moment when that promise was in jeopardy, ordinary men and women - students and soldiers, farmers and teachers, nurses and janitors -- found the courage to keep it alive.
We meet at one of those defining moments - a moment when our nation is at war, our economy is in turmoil, and the American promise has been threatened once more.
Tonight, more Americans are out of work and more are working harder for less. More of you have lost your homes and even more are watching your home values plummet. More of you have cars you can't afford to drive, credit card bills you can't afford to pay, and tuition that's beyond your reach.
These challenges are not all of government's making. But the failure to respond is a direct result of a broken politics in Washington and the failed policies of George W. Bush.
America, we are better than these last eight years. We are a better country than this.
This country is more decent than one where a woman in Ohio, on the brink of retirement, finds herself one illness away from disaster after a lifetime of hard work.
This country is more generous than one where a man in Indiana has to pack up the equipment he's worked on for twenty years and watch it shipped off to China, and then chokes up as he explains how he felt like a failure when he went home to tell his family the news.
We are more compassionate than a government that lets veterans sleep on our streets and families slide into poverty; that sits on its hands while a major American city drowns before our eyes.
Tonight, I say to the American people, to Democrats and Republicans and Independents across this great land - enough! This moment - this election - is our chance to keep, in the 21st century, the American promise alive. Because next week, in Minnesota, the same party that brought you two terms of George Bush and Dick Cheney will ask this country for a third. And we are here because we love this country too much to let the next four years look like the last eight. On November 4th, we must stand up and say: "Eight is enough."
Now let there be no doubt. The Republican nominee, John McCain, has worn the uniform of our country with bravery and distinction, and for that we owe him our gratitude and respect. And next week, we'll also hear about those occasions when he's broken with his party as evidence that he can deliver the change that we need.
But the record's clear: John McCain has voted with George Bush ninety percent of the time. Senator McCain likes to talk about judgment, but really, what does it say about your judgment when you think George Bush has been right more than ninety percent of the time? I don't know about you, but I'm not ready to take a ten percent chance on change.
The truth is, on issue after issue that would make a difference in your lives - on health care and education and the economy - Senator McCain has been anything but independent. He said that our economy has made "great progress" under this President. He said that the fundamentals of the economy are strong. And when one of his chief advisors - the man who wrote his economic plan - was talking about the anxiety Americans are feeling, he said that we were just suffering from a "mental recession," and that we've become, and I quote, "a nation of whiners."
A nation of whiners? Tell that to the proud auto workers at a Michigan plant who, after they found out it was closing, kept showing up every day and working as hard as ever, because they knew there were people who counted on the brakes that they made. Tell that to the military families who shoulder their burdens silently as they watch their loved ones leave for their third or fourth or fifth tour of duty. These are not whiners. They work hard and give back and keep going without complaint. These are the Americans that I know.
Now, I don't believe that Senator McCain doesn't care what's going on in the lives of Americans. I just think he doesn't know. Why else would he define middle-class as someone making under five million dollars a year? How else could he propose hundreds of billions in tax breaks for big corporations and oil companies but not one penny of tax relief to more than one hundred million Americans? How else could he offer a health care plan that would actually tax people's benefits, or an education plan that would do nothing to help families pay for college, or a plan that would privatize Social Security and gamble your retirement?
It's not because John McCain doesn't care. It's because John McCain doesn't get it.
For over two decades, he's subscribed to that old, discredited Republican philosophy - give more and more to those with the most and hope that prosperity trickles down to everyone else. In Washington, they call this the Ownership Society, but what it really means is - you're on your own. Out of work? Tough luck. No health care? The market will fix it. Born into poverty? Pull yourself up by your own bootstraps - even if you don't have boots. You're on your own.
Well it's time for them to own their failure. It's time for us to change America.
You see, we Democrats have a very different measure of what constitutes progress in this country.
We measure progress by how many people can find a job that pays the mortgage; whether you can put a little extra money away at the end of each month so you can someday watch your child receive her college diploma. We measure progress in the 23 million new jobs that were created when Bill Clinton was President - when the average American family saw its income go up $7,500 instead of down $2,000 like it has under George Bush.
We measure the strength of our economy not by the number of billionaires we have or the profits of the Fortune 500, but by whether someone with a good idea can take a risk and start a new business, or whether the waitress who lives on tips can take a day off to look after a sick kid without losing her job - an economy that honors the dignity of work.
The fundamentals we use to measure economic strength are whether we are living up to that fundamental promise that has made this country great - a promise that is the only reason I am standing here tonight.
Because in the faces of those young veterans who come back from Iraq and Afghanistan, I see my grandfather, who signed up after Pearl Harbor, marched in Patton's Army, and was rewarded by a grateful nation with the chance to go to college on the GI Bill.
In the face of that young student who sleeps just three hours before working the night shift, I think about my mom, who raised my sister and me on her own while she worked and earned her degree; who once turned to food stamps but was still able to send us to the best schools in the country with the help of student loans and scholarships.
When I listen to another worker tell me that his factory has shut down, I remember all those men and women on the South Side of Chicago who I stood by and fought for two decades ago after the local steel plant closed.
And when I hear a woman talk about the difficulties of starting her own business, I think about my grandmother, who worked her way up from the secretarial pool to middle-management, despite years of being passed over for promotions because she was a woman. She's the one who taught me about hard work. She's the one who put off buying a new car or a new dress for herself so that I could have a better life. She poured everything she had into me. And although she can no longer travel, I know that she's watching tonight, and that tonight is her night as well.
I don't know what kind of lives John McCain thinks that celebrities lead, but this has been mine.
These are my heroes. Theirs are the stories that shaped me. And it is on their behalf that I intend to win this election and keep our promise alive as President of the United States.
What is that promise?
It's a promise that says each of us has the freedom to make of our own lives what we will, but that we also have the obligation to treat each other with dignity and respect.
It's a promise that says the market should reward drive and innovation and generate growth, but that businesses should live up to their responsibilities to create American jobs, look out for American workers, and play by the rules of the road.
Ours is a promise that says government cannot solve all our problems, but what it should do is that which we cannot do for ourselves - protect us from harm and provide every child a decent education; keep our water clean and our toys safe; invest in new schools and new roads and new science and technology.
Our government should work for us, not against us. It should help us, not hurt us. It should ensure opportunity not just for those with the most money and influence, but for every American who's willing to work.
That's the promise of America - the idea that we are responsible for ourselves, but that we also rise or fall as one nation; the fundamental belief that I am my brother's keeper; I am my sister's keeper.
That's the promise we need to keep. That's the change we need right now. So let me spell out exactly what that change would mean if I am President.
Change means a tax code that doesn't reward the lobbyists who wrote it, but the American workers and small businesses who deserve it.
Unlike John McCain, I will stop giving tax breaks to corporations that ship jobs overseas, and I will start giving them to companies that create good jobs right here in America.
I will eliminate capital gains taxes for the small businesses and the start-ups that will create the high-wage, high-tech jobs of tomorrow.
I will cut taxes - cut taxes - for 95% of all working families. Because in an economy like this, the last thing we should do is raise taxes on the middle-class.
And for the sake of our economy, our security, and the future of our planet, I will set a clear goal as President: in ten years, we will finally end our dependence on oil from the Middle East.
Washington's been talking about our oil addiction for the last thirty years, and John McCain has been there for twenty-six of them. In that time, he's said no to higher fuel-efficiency standards for cars, no to investments in renewable energy, no to renewable fuels. And today, we import triple the amount of oil as the day that Senator McCain took office.
Now is the time to end this addiction, and to understand that drilling is a stop-gap measure, not a long-term solution. Not even close.
As President, I will tap our natural gas reserves, invest in clean coal technology, and find ways to safely harness nuclear power. I'll help our auto companies re-tool, so that the fuel-efficient cars of the future are built right here in America. I'll make it easier for the American people to afford these new cars. And I'll invest 150 billion dollars over the next decade in affordable, renewable sources of energy - wind power and solar power and the next generation of biofuels; an investment that will lead to new industries and five million new jobs that pay well and can't ever be outsourced.
America, now is not the time for small plans.
Now is the time to finally meet our moral obligation to provide every child a world-class education, because it will take nothing less to compete in the global economy. Michelle and I are only here tonight because we were given a chance at an education. And I will not settle for an America where some kids don't have that chance. I'll invest in early childhood education. I'll recruit an army of new teachers, and pay them higher salaries and give them more support. And in exchange, I'll ask for higher standards and more accountability. And we will keep our promise to every young American - if you commit to serving your community or your country, we will make sure you can afford a college education.
Now is the time to finally keep the promise of affordable, accessible health care for every single American. If you have health care, my plan will lower your premiums. If you don't, you'll be able to get the same kind of coverage that members of Congress give themselves. And as someone who watched my mother argue with insurance companies while she lay in bed dying of cancer, I will make certain those companies stop discriminating against those who are sick and need care the most.
Now is the time to help families with paid sick days and better family leave, because nobody in America should have to choose between keeping their jobs and caring for a sick child or ailing parent.
Now is the time to change our bankruptcy laws, so that your pensions are protected ahead of CEO bonuses; and the time to protect Social Security for future generations.
And now is the time to keep the promise of equal pay for an equal day's work, because I want my daughters to have exactly the same opportunities as your sons.
Now, many of these plans will cost money, which is why I've laid out how I'll pay for every dime - by closing corporate loopholes and tax havens that don't help America grow. But I will also go through the federal budget, line by line, eliminating programs that no longer work and making the ones we do need work better and cost less - because we cannot meet twenty-first century challenges with a twentieth century bureaucracy.
And Democrats, we must also admit that fulfilling America's promise will require more than just money. It will require a renewed sense of responsibility from each of us to recover what John F. Kennedy called our "intellectual and moral strength." Yes, government must lead on energy independence, but each of us must do our part to make our homes and businesses more efficient.
Yes, we must provide more ladders to success for young men who fall into lives of crime and despair. But we must also admit that programs alone can't replace parents; that government can't turn off the television and make a child do her homework; that fathers must take more responsibility for providing the love and guidance their children need.
Individual responsibility and mutual responsibility - that's the essence of America's promise.
And just as we keep our keep our promise to the next generation here at home, so must we keep America's promise abroad. If John McCain wants to have a debate about who has the temperament, and judgment, to serve as the next Commander-in-Chief, that's a debate I'm ready to have.
For while Senator McCain was turning his sights to Iraq just days after 9/11, I stood up and opposed this war, knowing that it would distract us from the real threats we face. When John McCain said we could just "muddle through" in Afghanistan, I argued for more resources and more troops to finish the fight against the terrorists who actually attacked us on 9/11, and made clear that we must take out Osama bin Laden and his lieutenants if we have them in our sights. John McCain likes to say that he'll follow bin Laden to the Gates of Hell - but he won't even go to the cave where he lives.
And today, as my call for a time frame to remove our troops from Iraq has been echoed by the Iraqi government and even the Bush Administration, even after we learned that Iraq has a $79 billion surplus while we're wallowing in deficits, John McCain stands alone in his stubborn refusal to end a misguided war.
That's not the judgment we need. That won't keep America safe. We need a President who can face the threats of the future, not keep grasping at the ideas of the past.
You don't defeat a terrorist network that operates in eighty countries by occupying Iraq. You don't protect Israel and deter Iran just by talking tough in Washington. You can't truly stand up for Georgia when you've strained our oldest alliances. If John McCain wants to follow George Bush with more tough talk and bad strategy, that is his choice - but it is not the change we need.
We are the party of Roosevelt. We are the party of Kennedy. So don't tell me that Democrats won't defend this country. Don't tell me that Democrats won't keep us safe. The Bush-McCain foreign policy has squandered the legacy that generations of Americans -- Democrats and Republicans - have built, and we are here to restore that legacy.
As Commander-in-Chief, I will never hesitate to defend this nation, but I will only send our troops into harm's way with a clear mission and a sacred commitment to give them the equipment they need in battle and the care and benefits they deserve when they come home.
I will end this war in Iraq responsibly, and finish the fight against al Qaeda and the Taliban in Afghanistan. I will rebuild our military to meet future conflicts. But I will also renew the tough, direct diplomacy that can prevent Iran from obtaining nuclear weapons and curb Russian aggression. I will build new partnerships to defeat the threats of the 21st century: terrorism and nuclear proliferation; poverty and genocide; climate change and disease. And I will restore our moral standing, so that America is once again that last, best hope for all who are called to the cause of freedom, who long for lives of peace, and who yearn for a better future.
These are the policies I will pursue. And in the weeks ahead, I look forward to debating them with John McCain.
But what I will not do is suggest that the Senator takes his positions for political purposes. Because one of the things that we have to change in our politics is the idea that people cannot disagree without challenging each other's character and patriotism.
The times are too serious, the stakes are too high for this same partisan playbook. So let us agree that patriotism has no party. I love this country, and so do you, and so does John McCain. The men and women who serve in our battlefields may be Democrats and Republicans and Independents, but they have fought together and bled together and some died together under the same proud flag.
They have not served a Red America or a Blue America - they have served the United States of America.
So I've got news for you, John McCain. We all put our country first.
America, our work will not be easy. The challenges we face require tough choices, and Democrats as well as Republicans will need to cast off the worn-out ideas and politics of the past. For part of what has been lost these past eight years can't just be measured by lost wages or bigger trade deficits. What has also been lost is our sense of common purpose - our sense of higher purpose. And that's what we have to restore.
We may not agree on abortion, but surely we can agree on reducing the number of unwanted pregnancies in this country. The reality of gun ownership may be different for hunters in rural Ohio than for those plagued by gang-violence in Cleveland, but don't tell me we can't uphold the Second Amendment while keeping AK-47s out of the hands of criminals. I know there are differences on same-sex marriage, but surely we can agree that our gay and lesbian brothers and sisters deserve to visit the person they love in the hospital and to live lives free of discrimination. Passions fly on immigration, but I don't know anyone who benefits when a mother is separated from her infant child or an employer undercuts American wages by hiring illegal workers. This too is part of America's promise - the promise of a democracy where we can find the strength and grace to bridge divides and unite in common effort.
I know there are those who dismiss such beliefs as happy talk. They claim that our insistence on something larger, something firmer and more honest in our public life is just a Trojan Horse for higher taxes and the abandonment of traditional values. And that's to be expected. Because if you don't have any fresh ideas, then you use stale tactics to scare the voters. If you don't have a record to run on, then you paint your opponent as someone people should run from.
You make a big election about small things.
And you know what - it's worked before. Because it feeds into the cynicism we all have about government. When Washington doesn't work, all its promises seem empty. If your hopes have been dashed again and again, then it's best to stop hoping, and settle for what you already know.
I get it. I realize that I am not the likeliest candidate for this office. I don't fit the typical pedigree, and I haven't spent my career in the halls of Washington.
But I stand before you tonight because all across America something is stirring. What the nay-sayers don't understand is that this election has never been about me. It's been about you.
For eighteen long months, you have stood up, one by one, and said enough to the politics of the past. You understand that in this election, the greatest risk we can take is to try the same old politics with the same old players and expect a different result. You have shown what history teaches us - that at defining moments like this one, the change we need doesn't come from Washington. Change comes to Washington. Change happens because the American people demand it - because they rise up and insist on new ideas and new leadership, a new politics for a new time.
America, this is one of those moments.
I believe that as hard as it will be, the change we need is coming. Because I've seen it. Because I've lived it. I've seen it in Illinois, when we provided health care to more children and moved more families from welfare to work. I've seen it in Washington, when we worked across party lines to open up government and hold lobbyists more accountable, to give better care for our veterans and keep nuclear weapons out of terrorist hands.
And I've seen it in this campaign. In the young people who voted for the first time, and in those who got involved again after a very long time. In the Republicans who never thought they'd pick up a Democratic ballot, but did. I've seen it in the workers who would rather cut their hours back a day than see their friends lose their jobs, in the soldiers who re-enlist after losing a limb, in the good neighbors who take a stranger in when a hurricane strikes and the floodwaters rise.
This country of ours has more wealth than any nation, but that's not what makes us rich. We have the most powerful military on Earth, but that's not what makes us strong. Our universities and our culture are the envy of the world, but that's not what keeps the world coming to our shores.
Instead, it is that American spirit - that American promise - that pushes us forward even when the path is uncertain; that binds us together in spite of our differences; that makes us fix our eye not on what is seen, but what is unseen, that better place around the bend.
That promise is our greatest inheritance. It's a promise I make to my daughters when I tuck them in at night, and a promise that you make to yours - a promise that has led immigrants to cross oceans and pioneers to travel west; a promise that led workers to picket lines, and women to reach for the ballot.
And it is that promise that forty five years ago today, brought Americans from every corner of this land to stand together on a Mall in Washington, before Lincoln's Memorial, and hear a young preacher from Georgia speak of his dream.
The men and women who gathered there could've heard many things. They could've heard words of anger and discord. They could've been told to succumb to the fear and frustration of so many dreams deferred.
But what the people heard instead - people of every creed and color, from every walk of life - is that in America, our destiny is inextricably linked. That together, our dreams can be one.
"We cannot walk alone," the preacher cried. "And as we walk, we must make the pledge that we shall always march ahead. We cannot turn back."
America, we cannot turn back. Not with so much work to be done. Not with so many children to educate, and so many veterans to care for. Not with an economy to fix and cities to rebuild and farms to save. Not with so many families to protect and so many lives to mend. America, we cannot turn back. We cannot walk alone. At this moment, in this election, we must pledge once more to march into the future. Let us keep that promise - that American promise - and in the words of Scripture hold firmly, without wavering, to the hope that we confess.
Thank you, God Bless you, and God Bless the United States of America.

venerdì 5 settembre 2008

Non abbiamo mai avuto rispetto per la terra!


un antico proverbio degli indiani d'america recita pressapoco così: "Tratta bene la terra: essa non c’è stata donata dai suoi genitori. Essa c’è stata prestata dai suoi bambini. Noi non l’abbiamo ereditata dai nostri Antenati, Noi la prendiamo in prestito dai nostri Bambini". Lo abbiamo mai pensato?.......

giovedì 21 agosto 2008

Case di appuntamento? Si

Navigando in internet e curiosando tra le pagine della cronaca mi imbatto su un articolo: Io, studentessa e prostituta. Sonia Rossi, un’italiana di 25 anni con il suo libro choc rivela la sua doppia vita: di giorno universitaria e lucciola di notte. Per mantenersi agli studi e soprattutto per non dover rinunciare a nulla. Sonia è l’atra faccia della prostituzione mercenaria. Sonia, residente in Germania, nel suo libro racconta la sua storia di studentessa e prostituta part-time. Mamma e papà non le avevano mai fatto mancare nulla e adesso Sonia di fare sacrifici proprio non ne voleva sapere: “Odiavo essere perennemente al verde - spiega ad un popolare quotidiano tedesco. Da bambina non mi mancava niente, non sono abituata a risparmiare e col lavoro da cameriera non sarei mai riuscita a mantenere una certa qualità della vita”. E così dice Sonia ho pensato di bussare alle porte di uno dei tanti bordelli perfettamente legali della città. Per tre anni ha vissuto i panni dell’universitaria di giorno e della prostituta di notte. Ora le sue avventure sono finite in un libro dal titolo eloquente: “Fucking Berlin”. La via della prostituzione, imboccata in modo del tutto autonomo - ci tiene a sottolineare Sonia - è arrivata prima attraverso un lavoro come spogliarellista on line, poi come massaggiatrice in un centro di estetica ed infine la casa di tolleranza della città. Oggi Sonia ha un figlio di due anni e nessun pentimento. Se dovesse tornare indietro rifarebbe esattamente la stessa cosa: “Questo è un lavoro molto lucrativo per qualsiasi donna capace di superare le proprie inibizioni”, ha detto. Un lavoro con cui riuscivo a guadagnare fino 200 euro a notte.
Questo articolo mi ha fatto riflettere su un argomento delicato come la prostituzione e la sua questione morale e, per cercare di dare un orientamento al mio pensiero ho avuto bisogno di leggere e approfondire l’argomento da molti punti di vista.
Innanzitutto, con il termine prostituzione si indica l’attività di chi offre servizi sessuali, dietro pagamento di un corrispettivo in denaro. L'attività, fornita da persone di qualsiasi orientamento sessuale, può avere carattere autonomo, professionale, abituale o saltuario.
Una casa di tolleranza - anche detta comunemente bordello, casino, casa chiusa, postribolo o lupanare - è un immobile, solitamente un'abitazione, in cui si esercita la prostituzione.
L’uso del termine prostituzione non è univoco e a seconda del Paese, del periodo storico o del contesto socio-culturale può includere qualsiasi atto sessuale e qualsiasi tipo di compenso, anche non in denaro o indicare, moralisticamente ed erroneamente, coloro che intrattengono atti sessuali fuori dal matrimonio o uno stile di vita simile a coloro che offrono le prestazioni o chi intrattiene atti sessuali disapprovati. Può indicare anche un comportamento zelante più del dovuto nei confronti di un superiore, finalizzato all’ottenimento di gratifiche lavorative o economiche.
La parola “prostituzione” deriva dal verbo latino prostituĕre pro “davanti” e statuere “porre” e indica la situazione della persona, in genere schiava, che non “sì” prostituisce, ma che come una merce “viene posta in vendita” davanti alla bottega del suo padrone. Questa origine richiama quindi la condizione storicamente più abituale della prostituta, la quale non esercita autonomamente la sua professione, ma vi è in qualche modo indotta da soggetti che ne sfruttano il lavoro traendone un proprio guadagno, i così detti “protettori”.
La prostituzione esercitata per libidine o a fini di lucro trova una sua originale distinzione in Niccolò Tommaseo, il quale fissò una distinzione fra le due “esigenze”. Definendo meretrice, dal latino mereo, colei che guadagna del suo corpo e prostituta, dal latino prostat, colei che per guadagno o per libidine, si mette in mostra e provoca a sozzure. Secondo Tommaseo la prostituta è più comune. Taide meretrice, Messalina prostituta. Ogni abbracciamento venale è meretricio, prostituzione non è. Le meretrici di caro prezzo non sono prostitute; le prostitute da’ genitori o dai mariti, che nulla guadagnan per sè non meritano l’altro nome cioè meretrici.
A rafforzare la distinzione fra prostituta e meretrice il Tommaseo richiama una evidenza storica: Le prostitute nei templi pagani per atto di devozione, meretrici non erano e si credevano far opera meritoria.
Storicamente la professione della prostituzione è stata spesso demonizzata dalle forze politiche e religiose, quando di fatto però tale pratica veniva tollerata nella consapevolezza del ruolo che rivestiva nel contesto sociale. In alcune civiltà antiche, come quella greca e romana, la prostituzione sacra era un’attività considerata degna di grande rispetto e considerazione sociale, e veniva svolta nel tempio del dio o della dea, a cui in genere erano devoluti i proventi derivanti dalle offerte.
Le prostitute, nelle maggiori città così come negli umili paesi d’Europa e del mondo, hanno sempre costituito una rilevante presenza nella popolazione. Queste donne, di cultura, estrazione sociale, lignaggio e maniere più o meno nobili, hanno intrattenuto nel tempo nobili, religiosi, imprenditori, e governanti in eleganti salotti dai lussuosi arredi, così come soldati e popolo di bassa manovalanza in bettole sudice lontane dalla gente per bene.
Inizialmente, nel Medioevo, nessuno si preoccupava dell’esistenza di questi ambienti: in Italia, solo nel XIV secolo i governanti e le autorità religiose imposero una licenza per gestire le case di tolleranza.
La prostituzione può essere classificata in ampi gruppi, ognuno con le proprie specificità e modalità di esercizio, a seconda del genere o orientamento sessuale di chi offre il servizio o a seconda del servizio offerto. Si hanno dunque la prostituzione femminile, la prostituzione maschile e la prostituzione transessuale.
A questi macrogruppi va aggiunto il fenomeno della prostituzione minorile, quello della prostituzione virtuale voyeuristica ed offerta via internet con le telecamere e quello degli assistenti sessuali, servizio di natura sessuale rivolto ai disabili che prevede un compenso pecuniario.
Le modalità di esercizio della prostituzione, che subisce sovente un forte ostracismo sociale ed in molti Paesi è illegale, sono ampie e variegate. Nell’Italia contemporanea fù la senatrice Lina Merlin la promotrice della legge, che porta il suo nome, con cui si decise la chiusura delle case di tolleranza. In Italia è molto comune la prostituzione di strada con l’esercitante che offre i suoi servizi sulla strada, o camminando o attendendo, generalmente abbigliate con vestiti appariscenti. La prestazione sessuale è sovente consumata in auto o in stanze in affitto in hotel.
Generalmente l’offerta di prostituzione di strada si concentra in ben determinate vie ad alta percorrenza o in quartieri periferici. In alcuni Stati vi sono zone dedicate all’esercizio della prostituzione, i cosiddetti quartieri a luci rosse.
La prostituzione, in alcuni paesi è esercitata in luoghi deputati, chiamati bordelli, oppure gli esercitanti organizzano case di appuntamento. In Italia, dove sono illegali bordelli e case di appuntamento, sono stati denunciati numerosi sex club che ne facevano le veci.
Un'altra modalità di esercizio della prostituzione è quella di accompagnatori ed accompagnatrici o escort, che si offrono con le più disparate modalità, anche se non tutte le agenzie di accompagnatori offrono servizi sessuali al cliente. Strettamente legato alla prostituzione è il suo sfruttamento, o lenocinio, praticato per trarre profitto dall’attività della donna, da parte di persone che generalmente si presentano come protettori. Inoltre vi sono altre figure legate al fenomeno della prostituzione per cui può configurarsi, al posto dello sfruttamento vero e proprio, il reato di favoreggiamento.
Nel mondo il fenomeno della prostituzione è regolamentata giuridicamente in modo ampio e variegato, dalla pena di morte alla legalizzazione completa.
Ritornando al fenomeno della prostituzione in Italia che viene esercitata nelle vie delle città, che spesso sentiamo dell’esasperazione dei cittadini residenti nelle zone ad alta offerta sessuale o sentiamo di prostitute aggredite in zone di periferia dove nessuno sarebbe sicuro o ancora sentiamo di sfruttatori e mafie organizzate dedite allo sfruttamento e alla vera e propria tratta delle schiave che non si fermano davanti a niente e a nessuno pur di trarne lauto guadagno o infine di bambine di stati poveri che vengono attratte della sirene di una vita migliore e del giusto legale guadagno divenire vittime di tale carneficina bestiale.
Poi leggo che nella liberissima e democratica Germania le case di tolleranza sono legalmente riconosciute e quello che è il mestiere più antico del mondo viene legalizzato e trattato come gli altri e questi lavoratori uomini e donne concorrono anche ad arricchire il prodotto interno lordo dello Stato tedesco lavorando in assoluta sicurezza psico-fisica. E in altri stati ancora accade la stessa cosa.
Che in Italia questa scelta di chiudere la case di appuntamento sia stata una scelta morale è un dato di fatto, ma quando la moralità produce sfruttamento e tratta di esseri umani penso che essa debba essere messa in dubbio nella sua efficacia. Non è solo il contesto sociale e di pubblica sicurezza ad essere migliore in quegli stati ma anche quello economico e della libertà a quante vogliono fare quel mestiere in assoluta legalità.
Ma, allora perché in Italia se ne parla e non si decide di porre fine a questo olocausto delle prostitute? È solo per una questione morale? Purtroppo credo proprio di si.

sabato 16 agosto 2008

Discorso tenuto da Gandhi alla Conferenza delle relazioni interasiatiche, New Delhi, 2 aprile 1947

Signora Presidente e amici, non credo di dovermi scusare con voi per il fatto che sono costretto a parlare in una lingua straniera. Chissà se questi altoparlanti porteranno la mia voce fino ai confini di questo immenso pubblico. Quelli di voi che sono lontani possono alzare la mano, se sentono quello che dico? Sentite? Bene. Bene, se la mia voce non vi giunge, non è colpa mia, ma colpa degli altoparlanti.
Quello che volevo dirvi è che non devo scusarmi. Non oso, visti tutti i delegati che si sono riuniti qua da tutta l’Asia, e gli osservatori – ho imparato questa parola pronunciata da un amico americano che disse: “Non sono un delegato, sono un osservatore”. Di primo impatto con lui, vi assicuro, pensavo venisse dalla Persia, ma ecco davanti a me un americano e gli dico: “Sono terrorizzato da te, e vorrei che mi lasciassi stare”. Potete immaginare un americano che mi lasci stare? Non lui e, quindi, ho dovuto parlargli.
Quello che volevo dirvi è che il mio idioma per me madrelingua, non lo potete capire, e non voglio insultarvi insistendo su di esso. Il linguaggio nazionale, Hindustani, ci metterà tanto tempo prima di rivaleggiare con un linguaggio internazionale.
Se ci deve essere rivalità, c’è rivalità tra francese e inglese. Per il commercio internazionale, indubbiamente l’inglese occupa il primo posto. Per discorsi e corrispondenza diplomatici, sentivo dire quando studiavo da ragazzo che il francese era la lingua della diplomazia e se volevi andare da una parte all’altra dell’Europa dovevi provare ad imparare un po’ di francese, e quindi ho provato ad imparare qualche parola di francese per riuscire a farmi capire. Comunque, se ci deve essere rivalità, la rivalità potrebbe nascere tra francese e inglese. Quindi, avendo imparato l’inglese, è naturale che faccia ricorso a questa parlata internazionale per rivolgermi a voi.
Mi chiedevo di cosa dovessi parlarvi. Volevo raccogliere i miei pensieri, ma lasciate che sia onesto con voi, non ne ho avuto il tempo.
Però ieri ho comunque promesso che avrei provato a dirvi qualche parola.
Mentre venivo con Badshah Khan, ho chiesto un piccolo pezzo di carta ed una matita. Ho ricevuto una penna invece di una matita. Ho provato a scarabocchiare qualche parola. Vi spiacerà sentirmi dire che quel pezzo di carta non è qui con me. Ma questo non importa, ricordo cosa volevo enunciare, e mi sono detto: “I miei amici non hanno visto la vera India, e non ci stiamo incontrando in una conferenza nel cuore della vera India”.
Delhi, Bombay, Madras, Calcutta, Amore – queste sono tutte grandi città e quindi, hanno subito l’influenza dell’Occidente, sono state fatte, magari eccetto Delhi ma non New Delhi, sono state fatte dagli inglesi. Poi ho pensato ad un breve saggio – credo che dovrei chiamarlo così – che era in francese. Era stato tradotto per me da un amico anglo-francese, e lui era un filosofo, era anche un uomo altruista e diceva che mi aveva dato la sua amicizia senza che io lo conoscessi, perché lui parteggiava per le minoranze ed io rappresentavo, assieme ai miei connazionali, una minoranza senza speranze, e non solo senza speranze ma una minoranza disprezzata.
Se gli europei del Sudafrica mi perdonano per quello che dico, eravamo tutti “coolies” [lavoratore non qualificato a basso costo]. Io ero un insignificante avvocato “coolie”. A quei tempi non avevamo dottori “coolie”, non avevamo avvocati “coolie”. Ero il primo nel campo.
Ma sempre un “coolie”. Magari sapete cosa si intende con la parola “coolie” ma questo mio amico, si chiamava Krof – sua madre era francese, suo padre inglese – disse: “Voglio tradurre per te una storia francese”.
Mi perdonerete, chi di voi sa la storia, se nel ricordarla faccio degli errori qua e là, ma non ci sarà nessun errore nell’avvenimento principale.
C’erano tre scienziati e – ovviamente è una storia inventata – tre scienziati uscirono dalla Francia, uscirono dall’Europa alla ricerca della “Verità”. Questa era la prima lezione che mi aveva insegnato quella storia, che se bisogna cercare la verità, non la si trova su suolo europeo. Quindi, indubbiamente neanche in America.
Questi tre grandi scienziati andarono in parti diverse dell’Asia. Uno trovò la strada per l’India e diede inizio alla sua ricerca. Raggiunse le cosiddette città di quei tempi. Naturalmente, ciò avvenne prima dell’occupazione inglese, prima anche del periodo Mughal, così è come ha illustrato la storia l’autore francese, ma visitò comunque le città, vide la gente delle cosiddette caste alte, uomini e donne, fino a che non si addentrò in un’umile casa, in un umile villaggio, e quella casa era una casa Bhangi, e trovò la verità che stava cercando, in quella casa Bhangi, nella famiglia Bhangi, uomo, donna, forse 2 o 3 bambini (lo dico come me lo ricordo) e poi lui descrive come la trovò.
Tralascio tutto questo.
Voglio collegare questa storia a quello che voglio dire a voi, che se volete vedere il meglio dell’India, dovete trovarlo in una casa Bhangi, in un’umile casa Bhangi, o villaggi simili, 700.000 come ci insegnano gli storici inglesi. Un paio di città qua e là, non ospitano neanche qualche crore [unità di misura indiana che equivale a 10 milioni] di persone. Ma i 700.000 villaggi ospitano quasi 40 crore di persone. Ho detto quasi perché potremmo togliere una o due crore che stanno in città, comunque sarebbero 38 crore.
E poi mi sono detto, se questi amici sono qui senza trovare la vera India, per cosa saranno venuti? Ho poi pensato che vi pregherò di immaginare quest’India, non dal punto di vista di questo immenso pubblico ma per come potrebbe essere. Vorrei che leggeste una storia come questa storia dei francesi o altre ancora. Magari, qualcuno di voi vada a vedere qualche villaggio dell’India e allora troverà la vera India.
Oggi farò anche questa ammissione: non ne sarete affascinati alla vista. Dovrete raschiare sotto i mucchi di letame che sono oggi i nostri villaggi. Non voglio dire che siano mai stati dei paradisi. Ma oggi sono veramente dei mucchi di letame; non erano così prima, di questo sono abbastanza certo. Non l’ho appreso dalla storia ma da quello che ho visto io stesso dell’India, fisicamente con i miei occhi; e io ho viaggiato da una parte all’altra dell’India, ho visto i villaggi, i miserabili esemplari dell’umanità, gli occhi senza vita, eppure sono l’India, e ciononostante in quelle umili case, nel mezzo dei mucchi di letame troviamo gli umili Bhangis, dove troverete un concentrato di saggezza. Come? Questa è una grande domanda.
Bene, allora voglio illustrarvi un altro scenario. Di nuovo, ho imparato dai libri, libri scritti da storici inglesi, tradotti per me. Tutta questa ricca conoscenza, mi spiace dire, arriva qui da noi in India attraverso i libri inglesi, attraverso gli storici inglesi, non che non ci siano storici indiani ma neanche loro scrivono nella loro madrelingua, o nella loro lingua nazionale, Hindustani, o se preferite chiamarli due idiomi, Hindi e Urdu, due forme della stessa lingua. No, ci riferiscono quello che hanno studiato sui libri inglesi, magari gli originali, ma attraverso gli inglesi in inglese, questa è la conquista culturale dell’India, che l’India ha subito.
Ma ci dicono che la saggezza è arrivata dall’Occidente verso l’Oriente. E chi erano questi saggi? Zoroastro. Lui apparteneva all’Oriente.
Fu seguito dal Buddha. Lui apparteneva all’Oriente, apparteneva all’India. Chi ha seguito il Buddha? Gesù, di nuovo dall’Asia. Prima di Gesù ci fu Musa, Mosè, che apparteneva anche lui alla Palestina, ma verificavo con Badshah Khan e Yunus Saheb ed entrambi sostenevano che Mosè appartenesse alla Palestina, sebbene fosse nato in Egitto. Poi venne Gesù, poi Mohammad. Tutti loro li tralascio.
Tralascio Krishna, tralascio Mahavir, tralascio le altre luci, non le chiamerò luci minori, ma sconosciute in Occidente, sconosciute al mondo letterario.
In ogni modo, non conosco una singola persona che possa uguagliare questi uomini d’Asia. E poi cosa accadde? Il Cristianesimo, arrivando in Occidente, si è trasfigurato. Mi spiace dire questo, ma questa è la mia lettura. Non dirò altro al riguardo. Vi racconto questa storia per incoraggiarvi e per farvi capire, se il mio povero discorso può farvi capire, che lo splendore che vedete e tutto quello che vi mostrano le città indiane non è la vera India. Certamente, il massacro che avviene sotto i vostri occhi, mi dispiace, vergognoso come dicevo ieri, dovete seppellirlo qui. Il ricordo di questo massacro non deve oltrepassare i confini dell’India, ma quello che voglio voi capiate, se potete, è che il messaggio dell’Oriente, dell’Asia, non deve essere appreso attraverso la lente occidentale, o imitando gli orpelli, la polvere da sparo, la bomba atomica dell’Occidente.
Se volete dare di nuovo un messaggio all’Occidente, deve essere un messaggio di “Amore”, un messaggio di “Verità”.
Ci deve essere una conquista (applausi) per favore, per favore, per favore. Questo interferisce con il mio discorso, e interferisce anche con la vostra comprensione. Voglio catturare i vostri cuori, e non voglio ricevere i vostri applausi. Fate battere i vostri cuori all’unisono con le mie parole, e io credo che il mio lavoro sarà compiuto. Voglio lasciarvi con il pensiero che l’Asia debba conquistare l’Occidente.
Poi, la domanda che mi ha fatto un mio amico ieri: “Se credevo in un mondo unico?”. Certo, credo in un mondo unico. Come posso fare diversamente, quando divento erede di un messaggio di amore che questi grandi, inconquistabili maestri ci hanno lasciato? Potete esprimere questo messaggio di nuovo ora, in questa era di democrazia, nell’era del risveglio dei più poveri dei poveri, potete esprimere questo messaggio con maggiore enfasi. Poi completerete la conquista di tutto l’Occidente, non attraverso la vendetta perché siete stati sfruttati, e nello sfruttamento voglio ovviamente includere l’Africa, e spero che quando vi reincontrerete in India la prossima volta ci sarete tutti: spero che voi, nazioni sfruttate della terra, vi incontrerete, se a quell’epoca ci saranno ancora nazioni sfruttate.
Ho forte fiducia che se unite i vostri cuori, non solo le vostre menti, e capite il segreto dei messaggi che i saggi uomini d’Oriente ci hanno lasciato, e che se veramente diventiamo, meritiamo e siamo degni di questo grande messaggio, allora capirete facilmente che la conquista dell’Occidente sarà stata completata e che questa conquista sarà amata anche dall’Occidente stesso.
L’Occidente di oggi desidera la saggezza. L’Occidente di oggi è disperato per la proliferazione della bomba atomica, perché significa una completa distruzione, non solo dell’Occidente, ma la distruzione del mondo, come se la profezia della Bibbia si avverasse e ci fosse un vero e proprio diluvio universale. Voglia il cielo che non ci sia quel diluvio, e non a causa degli errori degli umani contro se stessi. Sta a voi consegnare il messaggio al mondo, non solo all’Asia, e liberare il mondo dalla malvagità, da quel peccato.
Questa è la preziosa eredità che i vostri maestri, i miei maestri, ci hanno lasciato.
M. K. Gandhi

A volte ritornano. Anche l'Ici

Da ponte di Legno (BS) dove ogni anno il 16 agosto si celebra l’ormai famoso meeting di ferragosto della lega nord padania libera Roma ladrona e chi più ne ha più ne metta di sigle e detti, che a volte ha pure ragione ma usa modi e toni che non sono accettabili, Umberto Bossi comunica agli italiani, governo incluso, “L'I.C.I. la rimetterò”. l'I.C.I., imposta comunale sulla casa che il governo di cui è Ministro, come aveva promesso in campagna elettorale Silvio Berlusconi, ha abolito lo scorso maggio fra le proteste dei Comuni. Il ministro delle Riforme Umberto Bossi ha spiegato ai giornalisti che bisogna passare da un sistema di finanza derivata, in cui è lo Stato a dare i fondi agli enti locali, a una forma di autonomia finanziaria, in cui loro stessi prendono direttamente le tasse. Della reintroduzione dell'I.C.I. il Senatur non ne ha ancora parlato né con il ministro dell'Economia Tremonti Giulio né con il premier Berlusconi Silvio, ma sulla questione non sembra disposto a fare passi indietro. “Bisogna dare a ciascuna istituzione l'autonomia finanziaria” ha detto Bossi, “i cittadini, ha aggiunto il Ministro del Carroccio, sono disposti a dare, se le tasse vanno ai loro Comuni, perché vedono i risultati: aiuole, strade, scuole”. Il ministro per la Semplificazione Calderoli Roberto ha spiegato “La proposta che porterò al tavolo del federalismo fiscale non sarà una semplice reintroduzione dell'Ici, ma prevederà la soppressione delle oltre dieci tasse relative alla casa (Stato, Regione, Comune) e la loro sostituzione con un tributo unico, proprio a vantaggio dei Comuni”.
Diverse sono le levate di scudi all’interno della stessa maggioranza. Netto il no di Foti Tommaso, dell'esecutivo di A.N. e deputato del Pdl, “L' I.C.I. è stata sepolta e nessuno la resusciterà”. Provando a gettare acqua sul fuoco il presidente dei deputati del Pdl Cicchitto Fabrizio ha detto: “Vista la situazione economica internazionale e quella del debito pubblico nell'immediato la detassazione degli straordinari e l'abolizione dell'Ici sulla prima casa sono gli interventi che il governo ha potuto fare nei confronti della pressione fiscale. Solo quando sarà decollato in tutti i suoi aspetti il federalismo fiscale si potrà riesaminare la questione dell'Ici”.

lunedì 11 agosto 2008

La guerra in Georgia?

Petrolio nel Caucaso tra pace e guerra
Nicola Melloni (Università di Oxford )
[31 Maggio 2005]
Pochi giorni fa è stata inaugurata la molto attesa e molto temuta pipeline Baku-Tbilisi-Ceyhan (Btc). Lunga 1770 kilometri. Costato 3,6 miliardi di dollari e capace di trasportare 1 milione di barili al giorno dal Mar Caspio al Mediterraneo, l’oleodotto attraversa tre paesi (Azerbaijan, Georgia e Turchia) in una della aree più instabili e pericolose del mondo: il Caucaso. Il progetto, fortemente voluto dagli Stati Uniti è stato realizzato con fondi internazionali (dalla Ebrd, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, all’Ifc, una consociata della Banca mondiale) e vede riunite in un consorzio molte tra le più grandi imprese petrolifere mondiali (tra cui l’Eni), guidate dalla British Petroleum (Bp).
La realizzazione dell’oleodotto va inquadrata e valutata in termini geopolitici, assai più che economici. Le riserve petrolifere del Mar Caspio sono seconde solo a quelle del Golfo Persico (ma c’è chi dice che potenzialmente potrebbero essere superiori), ma fino a questo momento era impossibile trasportare il greggio verso occidente senza passare per la Russia (o per l’Iran). Il potere di interdizione di Mosca era quindi grandissimo. Questo poteva andare bene fino a ché ci fosse stato un “nostro uomo” al Cremlino (Eltsin, in questo caso), ma con le rinate pretese imperiali della Russia di Putin, bisognava trovare un’altra soluzione. Le guerre cecene sono state funzionali come non mai agli interessi americani: Mosca non è in grado di controllare il proprio territorio nel Caucaso e quindi le pipelines russe non sono sicure.
Peccato che la situazione nelle altre repubbliche caucasiche non fosse propriamente migliore. La regione è dilaniata da guerre intestine, alleanze strategiche, banditismo e dittature. Tre piccoli stati (Azerbaijan, Armenia, Georgia), tre repubbliche che non esistono su alcuna cartina geografica ufficialmente riconosciuta (Nagorno-Karabakh, Abkhazia e Ossezia del Sud), due vicini grandi e scomodi (Russia e Turchia): il panorama non è di facile comprensione. Azerbaijan e Armenia sono in stato di guerra (calda o fredda, a seconda dei momenti) da oltre 15 anni, per via del Nagorno Karabakh, provincia azera a maggioranza armena; il confine tra Armenia e Turchia è chiuso, data anche la storica ostilità turca a riconoscere i diritti delle minoranze, tra cui quella armena, il cui genocidio, all’inizio dello scorso secolo, anticipava la feroce repressione contro i curdi. La Russia sostiene e foraggia le due repubbliche ribelli della Georgia (Abkhazia e Ossezia del Sud), in cui mantiene basi militari per non perdere tutto il proprio peso nella regione. In Azerbaijan da poco il potere è passato dalle mani di Aliev padre a quelle di Aliev figlio, ma visto che il paese è il più ricco produttore di petrolio della regione, gli Stati Uniti lo sostengono, fedeli all’idea che se “Parigi val bene una messa”, il petrolio val bene una dittatura. Anche i Turchi sono schierati di conseguenza, mentre la Russia appoggia, anche se con meno enfasi, l’Armenia.
L’oleodotto, ovviamente, gira attorno all’Armenia, al Nagorno Karabakh e alle province ribelli della Georgia. Proprio in quest’ultimo paese, che pur orientato verso Occidente adottava con Shevarnadze la politica dei due forni, l’anno scorso si è svolta la cosiddetta rivoluzione delle rose, che ha portato stabilmente Tblisi in zona americana, e dove ora la polizia è addestrata dall’esercito americano su come difendere le pipeline. Esercito americano che, presente sul territorio, potrebbe pure difendere le installazioni da sé, qualora se ne presentasse la necessità. La visita di Bush di poche settimane fa mirava esattamente a questo. Ora l’amministrazione americana ha spostato le sue attenzioni sull’Azerbaijan per ottenere prerogative similari anche in quel paese.
Tutto questo non può che acuire la tensione nel Caucaso. Inoltre, a sorpresa, poche settimane fa anche il Kazakhistan ha deciso di unirsi al gioco di potenze nella regione, dichiarando di voler immettere il suo petrolio (è il secondo produttore dell’area post-sovietica dopo la Russia) nel BTC, ancora una volta a scapito delle pipeline russe che venivano utilizzate fino ad ora.
Insomma, a Mosca si vive la sindrome dell’accerchiamento. Con i fondi del petrolio si rafforzerà la dittatura di Aliev in Azerbaijan, che forte dell’appoggio incondizionato dell’Occidente potrebbe anche scegliere di cercare di chiudere i conti con l’Armenia. Saakashvili ed il governo georgiano sembrano decisi a fare lo stesso con le due repubbliche ribelli, alimentando la tensione nell’area. Alle spalle di tutti la Turchia cerca di rafforzare il suo progetto di egemonia sul Caucaso, sfruttando le incertezze di Mosca ed il supporto americano. L’Europa ha scelto, sottovoce, di prendere posizione a fianco degli Stati Uniti. British Petroluem (e di conseguenza il governo inglese) è, come si è ricordato, la capofila dell’impegno europeo sulla rotta del petrolio, spalleggiata sia da Eni che da Elf (Francia). La scelta, una volta di più, è miope di corto-raggio: da un lato si frena il processo di adesione della Turchia alla Ue, mentre dall’altro la si incoraggia nel suo progetto egemonico nel Caucaso e di repressione e sfruttamento del popolo curdo (la pipeline passa per un largo tratto sul Kurdistan turco, senza che quella popolazione ne goda dei discutibili frutti). Da un lato si dichiara la democrazia come un principio irrinunciabile, dall’altro si finanzia un regime corrotto e dittatoriale come quello azero. Da un lato, soprattutto, si vorrebbe provare a rendersi più indipendenti dagli Stati Uniti, dall’altro si isola la Russia e ci si prepara a diventare dipendenti dalla politica e dalla presenza americana anche per il petrolio che viene dall’Est.
Per l’oro nero si è sempre trafficato, spesso ucciso, si è comunque sempre cercato di sfruttare i paesi produttori, finanziando dittature ricche dei loro proventi ma che lasciassero sempre e comunque la fetta più sostanziosa alla rapacità occidentale, mentre le popolazioni locali sopravvivono nella miseria. Il Btc non fa eccezione.