mercoledì 29 luglio 2009

La conoscenza del dialetto locale per insegnare. Il test dell’idiozia arriva in Parlamento. Si prepara una stagione buia per il Paese

di Salvatore Parlagreco
Da: SICILIAINFORMAZIONI

Mi trovavo sotto un ombrellone su una splendida spiaggia dell’isola d’Elba, con un libro in mano e l’ebbrezza della felicità che solo quella condizione concede a chi non si pone traguardi irraggiungibili. Accanto, sotto un ombrellone un’anziana signora, anch’essa con un libro in mano, che riconobbi subito, per via della grafica ed il colore, come un libro di Sellerio. Non ricordo che cosa mi fece attaccare bottone, ricordo che le chiesi se il libro che leggeva fosse di Andrea Camilleri. Mi ha sempre incuriosito il successo di Camilleri nelle lande del Nord. Se ho difficoltà io a capire il dialetto siciliano dello scrittore, mi sono sempre detto, come fanno gli altri ad essere innamorati dei suoi romanzi, a gustarli, comprenderne il senso, spesso sorridere.
Avevo appena letto Il Birraio di Preston, scoprendo che si può ridere senza freni, da soli e a letto leggendo un libro. Lo trovavo esilarante ma certi brani mi apparivano proibitivi ai fini della comprensione. Dunque, la mia curiosità era giustificata. La signora, invece che rispondere alla mia domanda, disse di essere una casalinga di Varese, con un sorriso ironico. Avevo accanto lo stereotipo della benpensante borghese nordista piena di paure e con la puzza sotto il naso, piena di pregiudizi verso i terroni. La confessione della signora aumentò il mio desiderio di sapere. Oltre che le ragioni dell’amore nordista per il dialetto siciliano, avrei scoperto come sono veramente le casalinghe di Varese. La signora mi riferì di avere letto tutto Camilleri e di trovarlo delizioso. Quanto alla comprensione, alzò le spalle, come a dire che non era affatto un problema. Non era importante che capisse parola per parola, ma che comprendesse il senso, e lei il senso lo coglieva facilmente. Il dialetto siciliano, grazie a Camilleri, sfondava nei luoghi più inaccessibili, e ne ero compiaciuto.
Fin ad allora mi portavo appresso il rammarico, tutto intellettuale e un poco snob, della scuola siciliana che un millennio fa, dovette cedere la primogenitura del volgare al toscano “a causa” di Dante Alighieri, Petrarca e Boccaccio. Camilleri non ha niente a che vedere con i mostri sacri della lingua italiana, ma la riconquista cominciava proprio da lui. Il dialetto siciliano, trascorso il periodo di grande spolvero, negli anni trenta, legato al successo del cinema di Angelo Musco, si era inabissato, a favore di altri dialetti (o lingue), come il romanesco, per esempio, o il napoletano. Hanno un bel lamentarsi il sottosegretario Castelli ed altri statisti della Lega Nord della prevalenza del romanesco o del napoletano, se non tengono conto di Totò e Alberto Sordi, tanto per fare qualche esempio banale. La lingua viaggia con le gambe degli uomini, non c’è che fare. Tutte queste cose avevo in testa quando ho saputo dell’iniziativa leghista in Parlamento: l’introduzione di un test che attesti la conoscenza delle tradizioni e del dialetto del luogo per i docenti di ogni ordine e grado. Se non sai parlare e scrivere il ligure non puoi insegnare in Liguria.
E’ un modo, nemmeno furbo, per alzare le barriere doganali nei confronti dei docenti meridionali che sono tanti e sparsi per la Penisola a causa del fatto che nel Sud per i giovani che si affacciano nel mondo di lavoro ci sono state, e ci sono, poche alternative all’impiego pubblico: polizia, esercito, scuola eccetera. Ora, a quanto pare, e in piena crisi, mentre infuria la polemica Nord/Sud, i leghisti non hanno trovato di meglio che proporre un altro muro, che non assomiglia a quello alzato, per ragioni di sicurezza, dagli israeliani a Gaza, né alla muraglia statunitense ai confini con il Messico, ma che ha l’effetto di un pugno nello stomaco per chi ancora crede nello spirito di solidarietà e nel buon senso. Avendo conosciuto la casalinga di Varese sono indotto a credere che le provocazioni leghiste non rappresentino affatto un bisogno dei padani, ma questo non mi rassicura per niente perché sospetto che da venti anni a questa parte l’educazione alle paure, agli egoismi sono nate e cresciute insieme con le ampolle del Po’ grazie alle ronde della comunicazione nordista, Lega e no.
La voglia di entrare nelle stanze dei bottoni, legittima, per corrispondere a bisogni inevasi e per “aggiustare” lo Stato spendaccione con i soldi del Nord, ha creato la Padania e rifatto la storia e la geografia del Paese; soprattutto, a causa dell’assenza di altre agenzie educative, ha “costruito” o valorizzato paure, sentimenti dapprima affioranti, imponendoli all’intero Paese. Pretendere la conoscenza delle tradizioni del luogo in cui si insegna, ovviamente, è assolutamente legittima, come conoscere l’inglese se si insegna l’inglese o il latino se si insegna il latino. L’abilitazione all’insegnamento serve proprio a questo scopo. Ma il test dialettale è solo una provocazione, non potrebbe essere affrontato nemmeno dagli aspiranti prof del posto. Autorevoli costituzionalisti hanno, tra l’altro, eccepito che sarebbe contrario alla nostra Carta.Il punto non è però, il favore che il Parlamento concederà all’iniziativa – crediamo, assai modesto – quanto la scelta da parte della Lega di gettare benzina sul fuoco. Lo stato maggiore leghista ha deciso di rilanciare di fronte alle reazioni del Mezzogiorno su alcuni provvedimenti legislativi e alla riproposizione della questione meridionale con largo successo d’opinione. Radicalizzando lo scontro, la Lega ha tutto da guadagnare. Siamo alla vigilia di una stagione politica che potrebbe frammentare il Pdl anzitutto, ma non solo, sulle questioni Nord/Sud. Una stagione in cui la casalinga di Varese è solo una spettatrice: lei continua a comprare Andrea Camilleri e non libri in dialetto lombardo fino a quando nella sua Padania non ci sarà un Camilleri.

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